Ucraina: l’arte della guerra verso una nuova forma 

Premessa

Il 17 gennaio scorso il Ministro della Difesa russo Sergey Shoigu ha annunciato che avrebbe implementato le direttive del presidente russo Vladimir Putin per realizzare, tra il 2023 e 2026, una riforma su larga scala dell’esercito, in preparazione del protrarsi della guerra in Ucraina e come risposta alle mutate condizioni geopolitiche ai suoi confini.
Gli obiettivi finali sarebbero stati quelli di espandere le sue capacità e ricostruirne rapidamente una forza in grado di condurre guerre convenzionali. Per raggiungere questi scopi, Putin ha ordinato anche di incrementare il numero del personale militare, passando dall’attuale milione e 350 mila al milione e mezzo. Nello stesso periodo il Ministero della Difesa ha dichiarato che avrebbe lavorato ad un non specificato «cambiamento su larga scala» nella composizione, nel coordinamento e nelle divisioni amministrative delle forze armate russe.  
Negli ultimi 30 anni le dottrine militari e le strutture russe operative sono state sottoposte ad ampie e articolate revisioni. Questa ulteriore riforma generale dell’esercito russo segue quella attuata tra il 2008 e il 2012 che fu adottata per riadeguare la vecchia struttura dell’Armata Rossa alle nuove necessità geostrategiche del mondo post-bipolare.  

La bomba atomica e l’impossibilità della guerra

Dopo le due grandi ecatombi mondiali e la successiva disponibilità negli arsenali militari delle grandi potenze dell’arma atomica, il pensiero sulla guerra avvertì il suo limite ed emerse la necessita di ripensare le modalità di gestione dell’inimicizia radicale. Lo sviluppo dell’arma nucleare segnò un salto di qualità nella riflessione teorica e nella possibile pratica della guerra.  
A metà del secolo scorso, nel mondo divaricato del dopoguerra, la discussione intorno al conflitto approdò ad alcuni nuovi capisaldi: la guerra era possibile solo in scenari periferici, a condizione che le forze armate degli egemoni non si confrontassero direttamente (dunque fuori dall’Europa, perché la linea che tagliava l’Europa da nord a sud dividendo la Germania rappresentava il cuore dello scontro bipolare e metteva a diretto contatto le potenze nucleari); le azioni di guerra potevano essere attuate, ma solo nella forma di guerra indiretta (quindi guerra per procura o forme di intervento coperto); l’uso di forme di guerra coperta poteva essere accompagnato ad altre forme di guerra non militare, come ad esempio la destabilizzazione politica, la guerra economica, i sabotaggi, le sanzioni, l’appoggio a rivolte o le guerriglie.  
La questione cominciò a delinearsi in questi termini negli anni ’50 dopo le sconfitte occidentali nell’Indocina e nel nord Africa. La guerra divenne così estremamente flessibile, sia nella modulazione dello strumento, sia nel passaggio da uno strumento all’altro.  

La strategia indiretta come nuova dottrina della guerra

Negli anni ’50, nel generale contesto della decolonizzazione, dopo le sconfitte della Francia in Indocina e nel nord Africa e data l’impossibilità dello scontro tra le super potenze da una parte e l’emergere di scontri asimmetrici nei teatri periferici dall’altra, si arrivò alla formulazione della teoria della ‘guerra politica’, elaborata per la prima volta dallo Stato Maggiore francese con i contributi del generale André Beaufre1
Lo Stato Maggiore francese, con la nuova dottrina, prese atto dell’impossibilità di un conflitto aperto nell’era nucleare e arrivò a formulare il concetto di ‘strategia indiretta’. Questa nuova strategia, diversamente dall’atto militare orientato direttamente all’obbiettivo, puntava ad un mutamento dei rapporti di forza attraverso il conseguimento di obbiettivi collaterali, prima di concentrarsi sullo scopo principale. La nuova strategia della ‘guerra politica’ si basa su atti conflittuali soprattutto non militari. Queste nuove forme della guerra devono essere condotte in modo dissimulato, oppure coperte.  
Con la Seconda Guerra Mondiale emersero con prepotenza sui campi di battaglia nuove armi: il carro armato e l’aereo. Nelle pianure desertiche del nord Africa e nelle innevate pianure russo-europee il carro armato era divento il simbolo stesso della guerra. Nel dopoguerra, segnato dalla divisione bipolare che tagliava la grande pianura europea in due, i sovietici incentrarono lo sviluppo di una loro teoria basata sulla supremazia numerica dei carri armati e delle artiglierie. Questo soverchiante arsenale convenzionale non era in contraddizione con la nuova dottrina della guerra politica, perché l’imponente schieramento di mezzi e uomini puntava a generare una pressione psicologica sulla possibilità di condurre una guerra con armi convenzionali e attuare alcune condizioni della strategia indiretta, con le regole della ‘guerra simulata’. La risposta Usa fu l’implementazione di una nuova dottrina detta ‘Airland Battle’2 La nuova strategia non si basava sul simmetrico confronto di mezzi e uomini nella vasta pianura europea, era invece concepita su un integrale coordinamento e integrazione delle forze di terra con quelle aeree, su una difesa di manovra aggressiva capace di sfruttare tutte le asimmetrie del campo di battaglia e su una forza aerea in grado di attaccare le linee di rifornimento e tagliare i gruppi di riserva destinati ad alimentare l’offensiva. Questa nuova impostazione definita ‘Operazione ad ampio spettro’ imponeva una nuova visione del campo di battaglia e del ruolo assegnato alle unità, nel quale la dimensione spaziale si intersecava con quella temporale.  

La nuova topologia del campo di battaglia 

Nelle simulazioni delle grandi battaglie di carri e aviazione tra le forze del Patto di Varsavia e quelle della Nato, combattute nelle pianure tedesche a nord o sul gradiente di Tarvisio a sud, la nuova topologia del campo di battaglia modificava le dimensioni spaziali e temporali ai comandi delle varie unità.  
Ad esempio, nella nuova dimensione spaziale, al Comandante di Brigata veniva chiesta una visione prospettica di 15 km alle spalle del nemico, mentre per il Comandante di Divisione la profondità passava a 70 km, per i Comandante di Corpo d’Armata o di Teatro la visione prospettica arriva a 150 km. La dimensione temporale, invece, assegnava alla Brigata dodici ore come tempo di risposta, alla Divisione 24 e al Corpo d’Armata 72.  
L’integrazione della dimensione spaziale con quella temporale del teatro rappresentava quello che veniva definito il ‘campo di battaglia esteso’, ossia una visione dinamica che permetteva di sfruttare tutte le asimmetrie per interdire le linee di attacco. Questo imponeva un nuovo approccio nella struttura della catena di comando, nell’autonomia e nella flessibilità delle strutture. 
In questa nuova cornice strategica, nell’ultimo quarto del secolo scorso, gli Stati Uniti, e quindi la Nato, da una parte riorganizzano le loro forze, ridimensionandole rispetto a questa nuova visione del campo di battaglia e, nello stesso tempo, si orientarono verso azioni di ‘guerra indiretta’, come l’appoggio del dissenso nei Paesi dell’Est (Polonia e non solo), il sostegno alla guerriglia Afgana o la pressione psicologica sull’avversario, con il dispiegamento di sistemi d’arma tecnologicamente superiori (dagli Euro-missili allo scudo stellare). Tutte azioni indirette, ma che raggiunsero il loro obiettivo, direttamente o indirettamente, di accelerare il crollo dell’Unione Sovietica. 

Dalla guerra moderna alla guerra contemporanea

Il nuovo ambiente geopolitico, indotto dal crollo dell’impero sovietico e dalla frantumazione dell’Urss, e la constatazione del successo della strategia della guerra indiretta spinsero molti Paesi a interrogarsi sulla guerra nell’epoca dell’integrazione tecnologica e della globalizzazione.  
Il livello raggiunto dalla tecnologica nelle società moderne aveva introdotto nuovi strumenti e nuove modalità nelle relazioni internazionali e nella stessa condotta della guerra che privava alle armi il diritto esclusivo di caratterizzarla. Inoltre, il concetto stesso di sicurezza assumeva contorni diversi e inediti che ridefinivano i rapporti e le gerarchie tra armi convenzionali e la guerra, con la comparsa di nuovi sistemi d’arma che gradualmente ne resero sempre più indistinto il volto.  
A partire da queste considerazioni, i teorici cinesi Qiao Liang e Wang Xiangsui3 definirono i principi della nuova guerra. Secondo le loro formulazioni la Prima Guerra del Golfo chiudeva il periodo della guerra moderna, che si era sviluppata a partire da Napoleone. A partire da quella guerra ci si era avventurati nelle forme della guerra contemporanea. La nuova guerra che si andava configurando comportava un’imponente trasformazione del campo di battaglia, basato su otto principi: omnidirezionalità, sincronia, obbiettivi limitati, misure illimitate, asimmetria, consumo minimo, coordinamento multidimensionale e correzione e, infine, controllo dell’intero processo.  
L’architrave di questa nuova impostazione strategica poggiava sull’asimmetria. Anche se il principio di asimmetria appartiene agli albori del pensiero polemologico cinese, in questo nuovo contesto diventava il fulcro dell’intero sviluppo dell’azione per la dislocazione e uso delle forze, per la scelta degli assi di combattimento, per l’individuazione del centro di gravità dell’attacco e per la distribuzione delle armi. L’impostazione delle attività doveva rispondere al concetto di concentrazione delle forze, dove il nemico era debole, ed elusione del nemico dove era più forte.  
Il passaggio nodale nella struttura si aveva nell’abbandono dell’organizzazione per Divisione a favore della Brigata. La nuova struttura, molto più flessibile, è quella che meglio si adattava ai nuovi principi. In questo nuovo quadro strategico la guerra contemporanea estendeva il suo profilo giuridico anche sulle forme di ostilità non militare. 

La Dottrina Gerasimov4

I russi si affacciarono in ritardo su questo versante della riflessione, con quella che a livello comunicativo è conosciuta, per un banale equivoco, proprio come ‘Dottrina Gerasimov’. Le prime teorizzazione russe risalgono al Generale Nikolaj Makarov, autore anche della riforma dell’Esercito (tra il 2008 e 2012), nel solco tracciato da Beaufre a Qiao Liang e Wang Xiangsui. Il fraintendimento è in parte dovuto ad un articolo pubblicato dal generale Valerij Gerasimov, successore di Makarov allo Stato Maggiore.  
Gerasimov nel 2013 pubblicò un articolo titolato «Il valore della scienza sta nella lungimiranza. Le nuove sfide richiedono un ripensamento delle forme e dei metodi delle operazioni di combattimento» che illustrava la crescita strategica dei mezzi non militari per raggiungere gli obbiettivi militari.  
Nell’articolo veniva sottolineata l’importanza di «combattere con le informazioni» attraverso diversi strumenti che andavano dalla capacità di generare stati di confusione nell’avversario, al contrapporre le istituzioni tra di loro, dall’alimentare campagne fortemente divisive, al disorientare le opinioni pubbliche, fino a favorire la formazione di forze estremiste e populiste o screditare istituzioni, gruppi dirigenti e minare la fiducia nella stabilità e affidabilità di un Paese.  
Tutte queste attività coperte e indirette, insieme a quelle di hackeraggio e alle azioni di cyberwar, sono entrate nell’arsenale russo. L’articolo del 2013 faceva tesoro delle teorie e della riforma dell’esercito di Makarov e fu letto dalla comunicazione occidentale come la «Voina Novogo Pokoleniia» o «New Generation Warfare», ovvero il nuovo modo di fare la guerra della Russia nel nuovo secolo, successivamente battezzata ‘Dottrina Gerasimov”. Contrariamente alla Hybrid War (guerra ibrida) la «New Generation Warfare» faceva delle misure attive come l’inganno, il sotterfugio, la disinformazione o il sabotaggio l’assetto portante della nuova strategia al fine di manipolare la visione dell’avversario con un uso combinato di strumenti militari e non. 

La Difesa Attiva

Altro tema della nuova impostazione è il concetto di ‘Difesa attiva’. La strategia militare russa, in perfetta continuità con quella zarista e quella sovietica, continuava a pensare lo spazio esterno in termini imperiali. L’altro era sempre vissuto come possibile minaccia della propria esistenza, da annientare con un’azione preventiva. La strategia della ‘Difesa attiva’ vedeva la dissoluzione dell’Impero e della stessa Unione Sovietica come attività ostile dell’avversario e non come propria incapacità di reggere il confronto con le spinte innovative.  
All’indomani della disfatta, anziché interrogarsi sulla capacità delle società aperte di generare maggiori energie e risorse rispetto alle società autocratiche, il pensiero russo pensava di trovare la propria sicurezza rivolgendosi ad un passato mitizzato e viveva ogni possibile cambiamento come fosse una destabilizzazione. Infatti, misure preventive venivano attuate come risposta alle possibili richieste di cambiamento delle primavere arabe o di quelle colorate nei territori dell’ex impero sovietico. I movimenti colorati che si sviluppano nelle repubbliche dell’ex Unione Sovietica venivano vissute come destabilizzazioni che minacciavano non solo i confini, ma il sistema stesso russo.  
Sul terreno dell’organizzazione militare, dopo la guerra sovietica all’Afghanistan e quelle della Russia nel Caucaso, in Georgia e in Cecenia, si impose la questione della riforma dell’apparato militare, ovvero la necessità di trasformare l’imponente, ma impotente, apparato ereditato dall’Armata rossa.  
La Russia vantava lo status di ‘grande potenza’ per aver ereditato il seggio al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, per il suo rango atomico, dovuto all’accordo siglato con le altre repubbliche dell’ex URSS e le potenze occidentali5, per lo smantellamento e la consegna alla Federazione Russa delle rispettive testate. Con questo arsenale nucleare la Federazione Russa diventava il Paese con il maggior numero di testate del mondo.  
Sullo spirare del secolo, la Federazione Russa come unica erede dell’ex Urss, si sentiva assisa nel pantheon delle super potenze, mentre la sua potenza economica era decisamente quella di una potenza regionale. La sua ricchezza si basava solo sulle esportazioni delle immense riserve di materie prime ed energia.  
Sebbene rimanesse lo Stato più grande del mondo per estensione, la maggior parte delle sue terre sono giacciate per gran parte dell’anno e il suo Prodotto Interno Lordo rimane inferiore a quello italiano.  
In parte questa distonia è responsabile dell’errore prospettico con il quale la Russia proietta sé stessa nel nuovo spazio geopolitico e di quello con il quale gli altri – Usa, Nato e Europa – la percepiscono.  
Il nuovo scenario internazionale che si stava delineando, imponeva un profondo ripensamento degli strumenti e delle relazioni di potenza nel campo internazionale e della funzione dell’elemento militare.  
Lo strumento militare, l’esercito, nel corso della storia è stato la forma più diretta della proiezione di potenza di ogni sintesi politica. Con l’avvento dell’arma atomica questa condizione cambiò: la guerra diretta era ancora possibile a patto che non si coinvolgessero le due potenze mondiali.  
Dopo la prima guerra del Golfo, nel nuovo scenario geopolitico e grazie alla rivoluzione tecnologica, le teorie della guerra furono soggette ad una nuova rivoluzione. I russi cercarono di reagire adattando alla loro vecchia postura geopolitica imperiale i nuovi strumenti della guerra e, a partire dal 2008, l’anno in cui prese avvio la riforma delle forze armate del generale Makarov, cominciò la crescente insofferenza russa verso l’Occidente.  
Il cambiamento dell’atteggiamento di Putin verso i Paesi occidentali e le sue istituzioni, in primis l’Europa e la Nato, va letto in relazione alla postura geopolitica che lo stesso assegna al proprio Paese e, di conseguenza, alla natura e agli obbiettivi della riforma militare che non coinvolge solo l’esercito, ma si intreccia con le sfere dell’economia, della società, della cultura e della stessa religione. Le prime sperimentazioni sul campo sembrarono dargli ragione. L’intervento militare in Siria e, successivamente, in Crimea e nel Donbas nel 2014 e, ancora, in Libia videro un uso spregiudicato delle nuove strategie.  
Le attività coperte con hackeraggi e strategie di manipolazione furono adottate su un ampio spettro: dall’interferenze nella campagna elettorale per la Brexit, alle elezioni presidenziali americane, fino alle pressioni sulle ex repubbliche baltiche e i Paesi del nord. 

Lebensraum ortodosso6

L’aggressione russa all’Ucraina del 24 febbraio 2022 era stata preceduta da una lunga campagna di informazione che puntava a definire l’Ucraina come parte integrante di uno spazio identitario russo. Attraverso un armamentario mistico-teologico si cercava di definire un’anima russa, in contrapposizione ad un Occidente nichilista e decadente e nello stesso tempo minaccioso.  
L’intero corso storico della grande area veniva riletto, per ribadire la legittimità delle pretese territoriali della Federazione Russa, come continuità con le stesse presunzioni di espansione territoriali dell’impero zarista. La stessa cosa succedeva con la Guerra patriottica, anch’essa inquadrata nella continuità con il passato imperiale per l’affermazione di un ‘Lebensraum’ dell’uomo russo.  
La più grande catastrofe del ventesimo secolo, il crollo dell’Urss, per l’attuale gruppo dirigente russo non era più un evento scaturito dalla sconfitta autoinflitta per il fallimento nella realizzazione delle proprie promesse: costruire l’uomo nuovo, la società degli uguali, il socialismo. Obbiettivi e valori, peraltro, oggi ripudiati come nichilisti.  
Quello che viene rimpianto è la perdita dell’impero e le sue sfere d’influenza. La lettura della nuova geopolitica mondiale, in chiave identitaria, nell’attuale leadership ha segnato drammaticamente il modo di percepire gli spazi esterni e gli attori internazionali. Ogni processo di trasformazione o di mobilitazione sociale nel vicino è vissuto come ostile. Anche fenomeni più lontani sono vissuti come tentativi di destabilizzazione e di delegittimazione, oppure come messa in mora della propria eccezionalità e centralità nel processo storico.  
L’azione preventiva è quindi giustificata come azione difensiva e la conquista territoriale come diritto imperiale, imposto dell’eccezionalità della missione salvifica russo-ortodossa. Nella nuova visione del gruppo dirigente russo, il nodo aggrovigliato di kultur contro zivilitation può essere sciolto solo dal colpo di sciabola. In considerazione di questa missione storica l’istanza revisionista dell’ordine globale deve essere sostenuta da una nuova dottrina militare. Infatti, la riforma militare richiesta mette l’esercito al centro della proiezione esterna della Russia. Questa nuova dottrina raccomanda che la condotta di una guerra politica utilizzi in modo combinato l’intero potere di una nazione nel combattere con tutti i mezzi possibili, militari e non, attraverso l’utilizzazione di tutte le risorse nazionali per acquisire gli obbiettivi militari.  
Dalla fine degli anni Novanta del secolo scorso la Russia ha gradualmente perfezionato la sua proiezione aggressiva verso l’esterno, sia con interventi militari diretti, sia con i nuovi strumenti non militari della guerra coperta. Ma l’invasione dell’Ucraina e la guerra aperta in Europa del 2022 hanno segnato un salto qualitativo ancora difficile da decifrare.  
Ad un anno dall’inizio dell’invasione, lo scatenamento di questa guerra politica rimane ancora avvolta nelle nebbie dell’ideologia. Una campagna militare presuppone una chiara definizione degli obbiettivi e dei mezzi necessari per raggiungerli. Con l’invasione scatenata dalla Russia non sono mai stati definiti con chiarezza gli obbiettivi e proprio questa carenza è indice di una mancanza di coordinamento con i mezzi impiegati.  
Il motivo contingente dell’invasione sarebbe stato la ‘denazificazione dell’Ucraina’. La liberazione degli ucraini dalla dittatura ‘nazista’ si confondeva con la minaccia degli interessi vitali della Russia, minaccia dovuta dall’avvicinamento delle armi Nato ai confini russi, nonostante l’Ucraina non fosse membro dell’Alleanza Atlantica. La minaccia agli interessi vitali russi era rappresentata dall’accettazione dell’Ucraina dei valori decadenti dell’Occidente, di un sistema di ‘rule of the law’, di una società aperta e dall’ambizione di poter entrare nell’Unione Europea. Queste questioni sono state utilizzate per motivare ideologicamente la guerra, che poggia, per i russi, su un primo assunto: la guerra è stata necessaria per salvaguardare gli interessi vitali della Russia, dal quale ne discende un secondo, ovvero, gli interessi vitali della Russia sono minacciati dai valori decadenti dell’Occidente. I due obbiettivi, così concertati, non possono essere raggiunti solo con un’azione militare. Se infatti il primo potrebbe anche essere acquisito con una guerra diretta o indiretta, il secondo non potrà che essere raggiunto con la sconfitta dell’intero Occidente. Questa impostazione degli obbiettivi espone la campagna militare che ha necessariamente risorse limitate a prendere responsabilità illimitate, ipotecando l’intera operazione al risultato più probabile: la bancarotta.  
In questo contesto la strategia dell’invasione dell’Ucraina è difficile da comprendere, in primo luogo sembra che i russi abbiano abbandonato le loro teorie, che pure si erano mostrate produttive sul terreno, per tornare ad una vecchia guerra di artiglieria e carri nella pianura europea ottanta anni dopo. Guerra di artiglierie e carri che pure aveva funzionato in Siria, ma in condizioni di asimmetria assai diverse. Seconda considerazione: con l’attacco diretto la Russia ha permesso all’Occidente di stabilire una formidabile asimmetria a proprio vantaggio. In altri termini, i russi stanno combattendo una guerra con mezzi e strategia del Novecento con obbiettivi dell’imperialismo ottocentesco, mentre gli Usa e l’Occidente stanno adottando le forme moderne della guerra indiretta e non militare, utilizzando sanzioni e guerra economica, garantendo al contempo forniture militari e intelligenze all’Ucraina.  
Allo stesso tempo non si può non rilevare la grande confusione sugli obbiettivi militari della guerra: sostituire il governo di Kijev? Conquistare l’intera Ucraina? Conquistare gli Oblast del sud per costituire la ‘Nova Russia’? Tenere il Donets’k, Luhans’k e la Crimea? Oppure tenere solo la Crimea? O, infine, avviare la ‘guerra politica’ contro Occidente?  
Tutte queste carte sul tavolo vengono continuamente rimescolate senza che si affermi una strategia coerente, dando la sensazione che la campagna militare prosegua per inerzia. All’opposto, invece, da parte Ucraina, con il sostegno dell’Occidente nelle vesti di arsenale della democrazia, c’è un obbiettivo preciso: tornare ai confini del 1992.  

La Trappola della Dezinformatsiya

In una corrispondenza da Mosca, il 28 dicembre 1926, Jose Roth7 faceva notare che nell’informazione «la dittatura proletaria russa, per sua natura, si basa più sui comandi che sui divieti, […] il giornale è al servizio della censura: non perché soffochi la verità, ma perché diffonde la volontà della censura. Volontà della censura è come dire volontà del governo […]. Mi sembra che il governo sovietico sia l’unico ad aver riconosciuto che quello alla critica è un impulso naturale dell’uomo e della massa […]. L’opinione pubblica riconoscibile nella Russia di oggi è la somma imponente (non la potenza) delle eco giustapposte di formule che sono state urlate nelle orecchie delle masse. L’ascoltatore, esercitato dall’eco, riconosce la voce. É una voce che viene dall’alto. […] In Russia vediamo […] un’opinione pubblica che viene istruita e alimentata dall’alto».  
Settant’anni di pratica su un terreno fertile mettono in mostra quello che appare oggi come uno skill tipicamente russo, sul quale da sempre si è particolarmente investito: l’uso della disinformazione ai fini di politica interna ed estera.L’informazione e la disinformazione sono strumenti potenti nella guerra. La valutazione dello stato dell’avversario è essenziale nella programmazione degli obbiettivi e della strategia militare. Questo però ci dice anche come una cattiva informazione può provocare disastri altrettanto potenti.  
L’analisi dello stato degli avversari, nei mesi precedenti il 24 febbraio 2022, si era concentrata su una serie di eventi letti come catastrofici. In effetti l’Occidente, e in primo luogo gli Usa, dall’inizio del nuovo secolo era entrato in una fase di profonda riorganizzazione spinta dalla rivoluzione digitale, gli stessi focus geopolitici erano in fase di riorganizzazione. Secondo gli analisti e i responsabili politici americani, il cuore della minaccia si era andato spostando dalla vecchia centralità euroatlantica, prima sul Medio Oriente, e adesso nell’area Sino pacifica.  
I passaggi contingenti di questo processo, dalle crisi finanziarie, l’abbandono del focus medio orientale da parte americana, il caotico ritiro da Kabul, lo scoppio della pandemia globale, il tentativo semi folcloristico di assalto al Congresso americano del 6 gennaio del 2021 erano stati letti come prova di un collasso imminente dell’intero Occidente. È evidente che gli analisti russi hanno letto in quei fatti una realtà che era nei loro desideri. La stessa lettura della fragilità di un Europa che ormai dipendeva strategicamente dai rifornimenti energetici garantiti dalla Russia e che quindi non avrebbe messo a rischio i suoi alti standard di welfare per sostenere la libertà degli altri. In questi eventi gli analisti russi hanno letto, più che i fatti, i loro desideri scambiandoli per la realtà. 
Nella visione russa l’elemento più debole nello scacchiere globale era sicuramente rappresentato dall’Europa. La sua autonomia dipendeva dell’ombrello militare americano e il suo benessere dal flusso di energia garantito dalla Russia. L’America, in piena rivoluzione del suo assetto strategico e in preda ad una poderosa ristrutturazione delle strutture produttive e degli assetti finanziari, affetta da processi di polarizzazione politici e razziali non avrebbe avuto, dal loro punto di vista, le risorse politiche ed economico-militari per continuare a garantire la sua sicurezza.  
Con questa lettura della realtà alle spalle, l’abbattimento della ‘tessera ucraina’ avrebbe innescato le cadute delle altre tessere del domino occidentale. A questo punto, però, i mezzi per sottomettere Kijev non avrebbero potuto essere quelli della guerra indiretta come in Crimea del 2014, sarebbe stato necessario ostentare la forza militare diretta.  
L’asimmetria cercata con l’esibizione dei mezzi militari, avrebbe voluto anche essere un messaggio a quella parte dell’opinione pubblica che in questi anni era stata adescata dall’attività russa nel campo della comunicazione. Per questo era necessario sottolineare la risolutezza dello scontro aperto sostenuto dall’elemento asiatico della brutalità. Quello che è apparso subito evidente è che le lacune informative e conoscitive da parte russa erano presenti sia nella lettura dell’esterno, dove sono state sottovalutate la resilienza delle società aperte, le risorse psicologiche e politiche, le capacità economiche e militari di sostenere il Paese aggredito e la capacità di rafforzare la struttura di sicurezza collettiva della Nato, sia interne dove è immediatamente emerso un profondo scollamento tra le nuove dottrine e la capacità della struttura della forze armate di adottarle.  
Sul campo sono apparsi subito evidenti l’endemica burocratizzazione e inefficienza delle catene di comando, il cattivo coordinamento tra l’apparato militare-industriale e le forze operative, la mancata integrazione tra mezzi e strutture militari e non, la presenza sul campo di battaglia di unità operative delle Forze armate e unità paramilitari e mercenarie private, che rispondono a catene di comando diverse, hanno reso caotica la prima fase dell’invasione, culminata con la disfatta all’aeroporto di Hostomel.  
Nel primo atto della guerra, dove le forze speciali russe aviotrasportate avevano il compito di prendere l’aeroporto per garantire l’afflusso di forze per portare il colpo di maglio sulla capitale, il cattivo coordinamento e la qualità della comunicazione hanno pagato il pegno alla superiorità dell’esercito ucraino che, con il supporto dell’intelligence occidentale, è riuscito tempestivamente a sventare la minaccia.  
Con questa prima sconfitta è terminata quella che era stata chiamata ‘operazione speciale’ che sarebbe dovuta durare una decina di giorni ed è cominciata una strana guerra dove mezzi e obbiettivi non sono collegati tra loro.  
Dalla primavera all’estate del 2022 ci si trova davanti ad una seconda fase detta ‘guerra della corrosione’. Le truppe di invasione sono disseminate su un fronte di migliaia di chilometri senza nessuna particolare direttrice e sono oggetto di attacchi mirati da parte delle truppe ucraine, le quali, dotate di Javelin, stinger e droni come il turco Bayraktar sono riuscite a neutralizzare le colonne di carri e i mezzi della logistica, e con il supporto dell’intelligence a decapitare gli stati maggiori sul campo.  
Nei mesi di marzo e aprile si è registrata la perdita di 15 generali russi, di centinaia di ufficiali superiori, lo stesso Valerij Gerasimov è scampato per caso ad un attacco missilistico. Con l’arrivo delle nuove forniture dall’occidente, come l’artiglieria più potente e i nuovi sistemi missilistici Himars, l’esercito ucraino è stato in condizione di contrattaccare e dall’inizio dell’autunno assumere l’iniziativa costringendo i russi ad arretrare dal fronte di Karkiv, ad abbandonare la spinta per la conquista di Odessa e infine a lasciare, una settimana dopo aver celebrato il finto referendum di annessione, la stessa città di Kherson per evitare l’accerchiamento.  
Con l’inverno imminente le forze russe sono dovute trincerate sulla sponda sinistra del Dnipro in attesa di una riorganizzazione. Culminata la controffensiva ucraina si è aperta una nuova fase della guerra che possiamo definire di posizione, contrassegnata dalla necessità russa di riorganizzazione del comando, delle truppe e della logistica e anche di ridefinire gli obiettivi.  
Questa nuova fase serve anche a regolare i rapporti tra l’esercito e le forze mercenarie sia sul campo, sia nell’equilibrio dei poteri al Cremlino. Le stesse attività al fronte, come la presa di Soledar e Bakmut, più che essere finalizzata a raggiungere un obbiettivo tattico di natura militare sono determinate dalla necessità di pesarsi nell’equilibrio dei poteri nella sfera politica e nella comunicazione sulla condotta della guerra. 

La Russia tra riorganizzazione di Teatro e riforma dell’Esercito

L’11 gennaio8 il Ministro della Difesa russo ha annunciato che il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Generale Valery Gerasimov era stato nominato comandante di teatro della guerra in Ucraina. La nomina del Capo di Stato Maggiore come Comandante di Teatro è parte di una più ampia riorganizzazione della catena di comando dall’inizio dell’invasione. Insieme al nuovo comandante sono stati nominati tre vice: il generale dell’esercito Sergei Surovikin, già comandante di Teatro, come comandante delle forze aerospaziali, il generale dell’esercito Oleg Salyukov, come comandante in capo delle forze di terra e il Colonnello generale Alexei Kim come vicecomandante dello Stato Maggiore russo. La riorganizzazione dell’intera catena di comando è stata motivata dal ministero come necessaria per migliorare il comando e il controllo delle forze impegnate e intensificare le operazioni in Ucraina. I cambiamenti, secondo il ministero, sono stati fatti per cercare di risolvere i numerosi problemi emersi nei mesi precedenti, in primo luogo la necessità di coordinamento tra le Forze Armate, nella catena di comando e nella logistica e il miglioramento della qualità e dell’efficacia nella esecuzione dei compiti assegnati. 
La decisione di Putin di far annunciare pubblicamente da Ministero della Difesa questi cambianti e i loro intenti indica che il Cremlino ha visto nella nomina di Gerasimov un grande cambiamento, sia nella condotta della guerra, sia nel ruolo della struttura del Ministero della Difesa. La nomina di Gerasimov e la ristrutturazione del comando sul campo sono probabilmente da intendersi come segnale, sia all’estero che all’interno, dell’attenzione del Cremlino per le tradizionali strutture del potere del Ministero della Difesa russo e della volontà di Putin di combattere una lunga guerra in Ucraina. Ma anche come una mossa politica per rafforzare il Ministero della Difesa russo contro le sfide dei Millblogger e del Gruppo Wagner del finanziere Yevgeny Prigozhin, che hanno sempre più apertamente criticato la condotta della guerra del Cremlino. 

La riforma delle forze armate e il fronte interno9

L’annuncio della riforma e la riorganizzazione del Comando di Teatro rappresentano una riaffermazione della centralità del Ministero della Difesa e della Stato Maggiore nella condotta della guerra. La rimozione di Surovikin, il favorito di Prigozhin, segna un ridimensionamento della fazione dei siloviki nella futura condotta della guerra e nella lotta interna per il potere. La fazione dei siloviki, rappresentata dal Gruppo Wagner del finanziere Yevgeny Prigozhin, ha cercato di infeudare nel 2022 la condotta russa della guerra in Ucraina. Il capo della Wagner è stato sempre più critico sulla condotta della guerra del Ministero della Difesa e dello Stato Maggiore fin dal tardo 2022. Igor Girkin, il precedente comandante delle milizie russe nel Donbas, un preminente milblogger, è pesantemente sospettato di voler addirittura sostenere la rimozione del presidente russo Vladimir Putin. Mentre Surovikin, il precedente comandante di teatro in Ucraina, della fazione dei siloviki, si presentava come possibile rivale del Ministro della Difesa Sergei Shoigu.  
La nomina di Gerasimov è stata probabilmente in parte una mossa politica per indebolire l’influenza dell’ampia fazione dei siloviki contro il Ministero della Difesa e un segnale a Prigozhin e altri attori di ridurre le loro critiche al Ministero della Difesa. 
Ma la promozione di Gerasimov e il sostegno al fortemente criticato Ministro della Difesa ha spinto i siloviki a ritagliarsi ulteriori spazi nell’informazione russa, con un nuovo canale televisivo, e a spingere ulteriormente le critiche sulla condotta della guerra del Cremlino. Infatti Prigozhin continua incessantemente a promuovere il Gruppo Wagner a spese della reputazione del Ministero della Difesa russo.  
Lo sforzo di centralizzazione di Gerasimov si sta scontrando con la resistenza di Prigozhin e alcuni siloviki che difendono i loro scopi privati in questa guerra. L’attacco sempre più frontale di Prigozhin e il ruolo della Wagner può aver favorito la decisione di Putin di nominare un nuovo comandante di teatro e riorganizzare l’intero comando dell’Operazione speciale, risponde alla necessità di cercare, dopo aver subito un forte arretramento sul campo, una svolta alle operazioni ma anche di guadagnare il controllo per una narrativa dominante e cercare di marginalizzare le critiche. Anche se, come dimostrano questi primi mesi del 2023, rimane altamente improbabile che si possa rapidamente rivitalizzare e riformare la condotta della guerra in Ucraina per raggiungere gli obbiettivi massimi di Putin. 
L’affannosa ricerca di munizioni e sistemi d’arma all’estero dimostra che l’industria della difesa russa di base è incapace di fornire scorte di munizioni, cosa che probabilmente ostacolerà la capacità di sostenere le operazioni offensive nell’est dell’Ucraina nel corso del 2023. Anche sulla Tv federale russa si sostiene che lo sforzo russo generato dalla mobilitazione non è sufficiente, facendo notare che il successo della Russia in prima linea dipende dalla sua economia e dal complesso militare-industriale. Ciò significa che la campagna di rafforzamento lanciata dal Cremlino potrebbe influire sul corso della guerra solo se la Russia riuscisse a risolvere i suoi i suoi endemici problemi di approvvigionamento per il suo sforzo bellico in ucraina.  
Le forze russe hanno acquisito alcune vittorie nella prima parte della guerra di invasione dovute al rapido uso della loro forza e all’affidamento sulla superiorità dell’artiglieria. La cattura di Soledar rimane un successo tattico, può essere venduta sul fronte interno, ma ha poca influenza nella condotta della guerra. La stessa battaglia per la presa di Bakhmut, non ancora definitiva, è costata la degradazione di numerose unità, un tritacarne che ha inghiottito migliaia di uomini, soprattutto tra i carcerati arruolati dalla Wagner e tra le reclute poco addestrate. 
L’annuncio della nuova riforma delle Forze Armate russe non risponde soltanto all’esigenza imposta dal fallito piano dell’invasione dell’Ucraina, ma è resa necessaria anche dagli effetti geopolitici che l’avventura ucraina ha scatenato.  La Russia attualmente è costretta a fare i conti con il ridispiegamento della Nato dovuto alle nuove richieste di adesione che modificano strutturalmente il perimetro artico e quello Baltico. 
In questo quadro vanno lette le dichiarazioni del Ministro della Difesa che ha sottolineato che la Russia ha bisogno anche di rafforzare i componenti strutturali chiave della Forze Armate e ha annunciato che ristabilirà i distretti militari di Mosca e Leningrado, formerà un nuovo corpo d’armata in Karelia, sui confini con la Finlandia, un nuovo raggruppamento di forze autosufficienti nell’Ucraina occupata e 12 nuove divisioni di manovra. Ha aggiunto che la Russia ha bisogno di incrementare le sue capacità di preparare adeguatamente le proprie forze sviluppando più gruppi di addestramento e incrementando i gruppi di addestratori e specialisti, sviluppare le sue forze aeree e missilistiche10.  
Questi annunci dimostrano l’intento della Russia di riformare l’esercito per condurre guerre convenzionali su larga scala, ma non è chiaro se l’esercito russo sarà capace di crescere come descritto nei prossimi tre anni. La Russia può nominalmente formare nuove divisioni, se ha abbastanza risorse per formare il personale e riorganizzarlo nel corso della guerra. Già in precedenza sono state annunciate riforme dell’esercito che mai sono state attuate, come quelle del maggio 2022, quando richiamò la formazione di dodici nuovi distretti militari occidentali, unità di scaglioni non specificate, per la fine del 2022 e il reclutamento di centomila riservisti per il Ministero della Difesa russo nel 2022. Permane la penuria di specialisti e addestratori per le brigate esistenti e i reggimenti. La ristrutturazione della 150esima Divisione di fucilieri motorizzata nel «8° Combinate Arms» dell’Esercito, ha preso oltre un anno.  
La Russia dovrà affrontare ingenti problemi economici che influiscono sulle possibilità dei comandi militari di rifornire le loro forze. La capacità della Russia di generare rapidi cambiamenti nelle sue forze armate dipende dalla volontà del Presidente Putin di spostare una larga porzione del bilancio federale sulle spese militari e tenere la Russia su un permanente ‘piede di guerra’ per molti anni. Molti segnali indicano che Putin si stia muovendo in questa direzione. La riforma e l’ampliamento delle forze armate indicate da Shoigu difficilmente potrà essere implementata in tempo per influire sulla guerra in Ucraina nei prossimi mesi, ma i suoi effetti potrebbero dispiegarsi a partire dal 2024 e stabilire le condizioni per una minaccia militare russa per i suoi vicini, inclusa la Nato, negli anni a venire.  

Autocrazia e privatizzazione della guerra: Gazprom versus Wagner?

La privatizzazione della guerra ha ricevuto un ulteriore contributo con la decisione del l Presidente russo Vladimir Putin di istituire i perdoni preventivi per i detenuti che intendono arruolarsi con la Wagner Group in Ucraina. Il perdono preventivo presidenziale è un ulteriore sostegno per la campagna di reclutamento all’interno delle carceri del Gruppo Wagner, ma serve anche a rafforzare le proprie unità combattenti e spingerli ad operare con ampi margini di impunità in Ucraina. La promessa del legale perdono per le attività criminale incentiva i detenuti a firmare il contratto, coscienti che in caso di sopravvivenza potranno ritornare ad occupare il loro posto e la loro precedente occupazione nella società con il passato ripulito, compresi gli eventuali crimini di guerra commessi al fronte. Questi combattenti reclutati nelle prigioni sono stati dispiegati sulla linea del fronte in Ucraina, soprattutto a Bakhmut, principalmente come sacrificabile forza di attrito e in questo ruolo hanno mostrato spesso mancanza di disciplina. Le azioni di reclutamento sono proseguite anche all’estero, in Bielorussia e in Serbia, stante alle dichiarazioni del Presidente serbo Alexander Vucic, che ha accusato Prigozhin di violare la legge sui reclutamenti.  
Nonostante la pressione del finanziatore della Wagner sull’informazione, si registra la resistenza di Gerasimov a soddisfare le richieste dei mercenari, che prima li ha marginalizzati nell’azione al fronte, in particolare a Soledar e successivamente si è rifiutato di integrarli nella struttura delle Forze Armate russe. Secondo le ultime notizie il Cremlino starebbe tentando di istituire una nuova formazione privata controllata dal governo russo, finanziata come unità di volontariato attraverso la società statale per l’energia Gazprom. La società controllata da Gazprom, Gazprom Neft, sta costituendo una formazione di volontari simile alle unità del ‘Russian Combat Army Reserve’ (Bars). Sempre secondo questa fonte, Gazprom Neft sta già dispiegando attivamente le neocostituite unità nell’Oblast di Donetsk. Ai reclutati Gazprom offrirebbe 400 mila rubli, circa 5.260 dollari al mese, di ingaggio oltre i bonus per le prestazioni e, sembra che questa richiesta abbia suscitato molto interesse nella città di Donestsk. Il soldo offerto dai nuovi reclutatori sarebbe doppio rispetto a quello offerto dalla Wagner. Il governo russo aveva già autorizzato lo scorso 6 febbraio Gazprom Neft a creare una propria organizzazione di sicurezza privata per la protezione delle infrastrutture energetiche russe. Queste mosse di Putin vanno certamente inquadrate nella dinamica della lotta per il potere interno e della sua volontà di rendere la figura di Prigohzin sempre più marginale nelle dinamiche interne. 

La guerra verso una nuova fase

All’inizio dell’anno il Segretario Generale della Nato Jens Stoltenberg ha affermato che la guerra Russo Ucraina è in «fase decisiva». In una dichiarazione all’agenzia tedesca Handelsbalatt, il 15 gennaio, ha sostenuto che i Paesi Nato sono chiamati a «fornire all’Ucraina le armi che necessita per vincere», anche in considerazione del fatto che il Cremlino prenderà probabilmente azioni strategiche decisive nel 2023. L’affermazione di Stoltenberg non implica, però, che la guerra è nella sua fase finale o che le forze russe stiano pianificando di impiegare tutte le disponibili risorse nell’incombente azione. Negli stessi giorni il ministro ucraino per gli Affari Interni e la Comunicazione, Andrij Yusov, ha sottolineato che Putin ha riconosciuto che le forze russe non potranno prendere rapidamente l’Ucraina, per questo sta considerando di intraprendere una guerra d’attrito. Il Cremlino ha cominciato così a considerare che i suoi obbiettivi a lungo termine di prendere l’Ucraina stiano diventando sempre più difficili da acquisire.  

Guerra di movimento o guerra di materiali

Con la decisione americana di consegnare alle forze ucraine i carri armati Abrams, di produzione statunitense, il via libera dei tedeschi ai Leopard 2 (sempre carri armati, ma di produzione tedesca) e la prossima consegna dei nuovi missili GLSDB, con un raggio d’azione superiore ai 150 Km, capace di colpire con precisione le linee di approvvigionamento del fronte e con la promessa europea di un milione di proiettili, si modificheranno ulteriormente i profili dello scontro. La riorganizzazione in atto nei due campi porta sempre più il fronte ad assomigliare al campo di battaglia simulato ai tempi dell’Airland Battle, o almeno ad adottare molte delle tattiche della ‘difesa attiva’ con l’eccezione dell’uso dell’arma aerea, stante, fino ad oggi, il divieto americano di trasferire i suoi F16 al fronte che in parte, però, sono sostituiti dai nuovi sistemi missilistici che nel nuovo confronto surrogherebbero l’arma aerea nell’interdire le linee di rifornimento.  
La ricostituzione dei due fronti dovrebbe segnare il superamento della fase d’attrito, per sfociare in una nuova fase di guerra di movimento. Anche se la ‘nebbia di guerra’ e la mancata chiarificazione degli obbiettivi dell’aggressore, non permettono però ancora di prevedere lo sviluppo delle direttrici delle prossime offensive. Anche se non può essere esclusa, resta improbabile che Russia costringa il suo, fino ad oggi riottoso, alleato bielorusso a consentire l’apertura del fronte nord, anche perché allungherebbe di centinaia di chilometri il fronte, generando problemi nella logistica e prestando il fianco a puntuali contrattacchi da parete ucraina. Molto più probabile potrebbe essere il tentativo di riprendere l’iniziativa nell’area sud est del fronte, anche se il gradiente del Dnipro resta una sfida estremamente impegnativa per la manovra militare. La stessa considerazione può essere fatta circa la possibile direttrice da sud, tra Mariupol e Zaporizhia.  
Con il passare delle settimane si affievoliscono le previsioni di una ripresa dell’offensiva russa su larga scala. L’attuale fase dei continui duelli di artiglieria ci dice che siamo in presenza di una «guerra di materiali» dove determinanti per l’esito sono le capacità industriali più che quelle della strategia e della manovra militare. A misurarsi in questa fase, e anche nelle prossime settimane, saranno le capacità dei rispettivi complessi militari industriali dell’asse delle autocrazie e quelle dell’«arsenale della democrazie».  
Mentre il ritorno a forme di guerre di movimento, che gli Stati Maggiori e gli Ufficiali del periodo della guerra fredda avevano combattuto solo come simulazione o come esercitazione senza poterla sperimentare mai sul terreno, se non attraverso verifiche indirette come la Guerra dello Yom Kippur del 1973, sarà possibile solo a partire dalla fine primavera.  
Nelle condizioni attuali forme di ‘Airland Battle’ presuppongono un’alta flessibilità e un’altrettanta alta integrazione di forze e sistemi d’arma nello spazio tridimensionale del campo di battaglia. Una profondità necessaria che, stante la situazione delle attuali linee dei fronti, coinvolge necessariamente anche le basi logistiche della Federazione Russa. Ma anche e in primo luogo un addestramento delle forze che l’esercito russo non ha dimostrato di possedere. E che la riforma annunciata non sarà in grado di fornire nell’immediato. La potente estensione del campo di battaglia, sia spazialmente che temporalmente, necessita di coordinamento e flessibilità, autonomia decisionale delle unità tattiche, capacità di tagliare i rifornimenti al possibile fronte principale dell’avversario, non farsi ingaggiare dove si è deboli e ingaggiare il nemico dove si ha la potenza necessaria.  
Nel corso di questo anno l’esercito ucraino ha mostrato maggiore capacità e attitudine a condurre questo tipo di conflitto, mentre l’esercito russo ha rivelato di essere ancora vincolato a una struttura delle forze e sistemi di comando molti più simili a quelli del secolo scorso che alle necessità della guerra contemporanea. Putin, nel celebrare l’ottantesimo anniversario della battaglia di Stalingrado che invertì il corso della Seconda Guerra Mondiale, ha mostrato un’incredibile incapacità di comprendere la storia.
La vera risorsa strategica della Russia è la sua profondità e quindi la possibilità di sfruttare il vantaggio della ritirata per produrre la necessaria asimmetria a proprio vantaggio. La decisione di Kutuzov di abbandonare Mosca a Napoleone o la decisione di attrarre i tedeschi fino al Volga, furono le mosse che consentirono le successive vittorie. Ora questa condizione è in parte invertita. La profondità non è solo geografica, oggi per l’Ucraina è garantita dalle forniture dei Paesi Occidentali e per l’esercito russo abbandonare la guerra di posizione, dove può staticamente usare le sue artiglierie e la fanteria per la conquista palmo per palmo, potrebbe rivelarsi molto più problematico di quanto Putin sia disposto a credere. 

L’asse delle autocrazie e gli scenari regionali

Con lo scoppio della guerra e la ritrovata compattezza del campo occidentale si è andato costituendo un contrapposto Asse delle Autocrazie: Mosca, Teheran, Pyongyang con alle spalle l’ombra di Pechino. India, Sud Africa, i paesi del Medio Oriente e la maggior parte del terzo e quarto mondo hanno scelto invece una posizione di neutralità, con una gradazione di sfumature abbastanza ampia. La plastica dimostrazione di questa articolazione si è avuta quando gli Usa hanno chiesto all’Arabia Saudita di aumentare la produzione di petrolio per bilanciare l’esclusione dal mercato di quello russo e quest’ultima si è rifiutata di fungere da ‘produttore elastico’ per calmierare i prezzi in Europa.  
La Turchia, formalmente Paese dell’alleanza Nato, sta rivendicando una sua autonomia nel corso di questa crisi, mentre Israele si è rifiutato di trasferire l’Iron Dom per intercettare i droni iraniani usati dai russi. La stretta cooperazione militare e industriale che si va costituendo tra Mosca e Teheran irrobustisce la presenza russa nell’area mediorientale.  
Con il controllo sulla Siria, la minaccia e l’intesa sempre più stretta con l’Iran, il fronte caucasico e l’area irachena dovranno sempre più tener conto della pressione russa nell’intera regione. La minaccia russa di limitare le libertà di manovra all’aviazione israeliana nei raid contro le forze iraniane in Siria e l’annuncio di manovre militari congiunte delle marine militari russo, iraniane e cinesi negli stretti di Hormuz segnano un contesto in movimento. Israele e Turchia dovranno rivalutare le loro rispettive azioni. Accettare il sempre più ingombrante padrinaggio russo in cambio di una possibile moderazione delle pretese iraniane sulla regione o rilanciare con un rafforzamento del fianco sud della Nato come è già successo con quello del nord? 

L’eclisse del Patto di San Valentino: verso un nuovo volto del Medio Oriente

L’annuncio della ripresa delle relazioni diplomatiche tra Arabia Saudita e Iran, con la garanzia cinese, è un ulteriore tassello che l’intero assetto del Medio Oriente è in profondo mutamento. Sembra arrivata definitivamente a conclusione, nonostante i recenti accordi sanciti con il ‘Patto di Abramo’, il vecchio Patto di San Valentino siglato il 14 febbraio del 1945 tra il presidente F.D. Roosevelt e il re Ibn Saud a bordo dell’incrociatore Quincy, che garantiva all’Arabia Saudita sicurezza in cambio di petrolio.  
Il Patto di Abramo firmato da Israele, dagli Emirati Arabi Uniti, dal Bahrein, dal Marocco e dal Sudan si poneva come strumento di equilibrio atto a bilanciare l’asse Teheran, Mosca, Damasco. Mentre la Siria e il Libano erano le aree dove si scaricavano le tensioni.  Tuttavia va ricordato che i pilastri occidentali presenti nell’area, Israele e Turchia, hanno gradualmente aumentato la loro autonomia aprendo spazi contrattuali con Mosca. Israele non ha mai condannato l’annessione russa della Crimea nel 2014, forse in cambio della mano libera concessa all’aviazione israeliana in Siria per scongiurare il pericolo dei missili e droni iraniani. 
Il mutamento dell’assetto geopolitico dell’area va letto anche in ordine al paradigma più generale della transizione climatica e degli approvvigionamenti energetici. Il Medio Oriente ha costruito la sua centralità come fornitore strategico di energia, accumulando ingenti risorse finanziarie. Nel prossimo futuro Arabia Saudita ed Emirati rischiano di rimanere grandi potenze finanziare, senza più la materia prima necessaria per alimentare la loro ricchezza e perdere la loro centralità rispetto ad un Occidente determinato a sfruttare tutte le potenzialità tecnologiche per trovare fonti energetiche a basso impatto. Per le monarchie medio orientali trovare nuovi consumatori meno esigenti sulle regole climatiche potrebbe essere allettante. La guerra in Ucraina con il suo risvolto sui flussi energetici impatta fortemente sugli assetti della regione.  
Sul fronte energetico questa è anche la guerra per il controllo del Mar Nero e il collegamento con il Mediterraneo che rappresenta la porta d’ingresso delle fonti energetiche attraverso le pipe line di idrocarburi e gas provenienti dall’area mediorientale e caucasica attraverso l’Anatolia. Non si tratta più, quindi, solo della guerra in Europa, perché ribalta le carte in tutto il Medio Oriente. 

La Guerra e la revisione dell’Ordine internazionale

Come sottolineato anche dalla visita del Premier cinese a Mosca, la guerra in corso non è solo una minaccia alla libertà dell’Ucraina. Molto di più è in gioco.  
L’aiuto cinese potrebbe essere un altro segno che gli autocrati intendono riscrivere le regole – o almeno le poche rimaste – che sovrintendono il sistema della diplomazia internazionale, del commercio e della cooperazione costruite sulle macerie della Seconda Guerra Mondiale. L’Occidente deve essere cosciente che le regole possono essere ridiscusse nel nuovo contesto globale. Ma deve essere altrettanto chiaro che esse vanno negoziate attraverso procedure trasparenti e democratiche. Bisogna considerare con molta fermezza chi pretende di cambiare le regole con la forza o con le minacce.  
Oggi di fronte ad un tentativo di modificare l’assetto delle poche regole internazionali ancora in vigore con lo strumento la guerra, bisogna pensare con molto realismo a cosa succederebbe se la Russia dovesse vincere, specialmente con l’assistenza cinese. Gli Usa e l’Europa sarebbero pesantemente marginalizzati, mentre la maggior parte del mondo dovrebbe imparare ad assettarsi in un nuovo ordine proveniente da Pechino e da Mosca. La libertà di movimento che oggi diamo per garantita di beni, persone, moneta e anche idee, sarebbe ristretta, limitata dalla crescente potenza dei due più grandi regimi dittatoriali del mondo e dai suoi satrapi minori. Il nuovo ordine prospettato non sarebbe affatto più plurale, bensì più gerarchizzato. 
Dall’inizio della guerra di Putin il Presidente cinese XI Jinping e la sua diplomazia hanno detto molte cose giuste, pronunciandosi contro un’escalation in Ucraina, incluso l’uso di armi chimiche, biologiche o nucleari, e riaffermando il principio della sovranità degli Stati negli affari internazionali. Nello stesso tempo però la Cina ha anche cercato di fornire supporto al regime autoritario amico, continuando a commerciare con la Russia, anzi approfittando per strappare prezzi più bassi sulle forniture energetiche, criticando le sanzioni occidentali e in generale pretendendo che la guerra di aggressione di Putin fosse considerata solo un’altra manifestazione di inimicizia nella comunità internazionale.  
Pechino ha anche continuato le sue manovre aggressive nel Mar Cinese meridionale e verso l’isola di Taiwan. Adesso potrebbe ponderare una mossa più aggressiva e considerare la fornitura di aiuti diretti alla Russia per aiutare le forze di Putin, se non a riprendere l’iniziativa almeno a mantenere le forme della guerra d’attrito. Fornire proiettili senza nuovi lanciatori non può aiutare molto la Russia nel breve periodo, ma potrebbe essere una mossa provocatoria per segnalare all’Occidente che le autocrazie possono e vogliono sostenersi le une con le altre negli attacchi contro i loro vicini e minacciare gli ultimi capisaldi dell’ordine internazionale: una questione importante per Pechino nella sua strategia su Taiwan e il Mar Cinese meridionale. L’interesse prioritario per la Cina potrebbe essere un prolungamento del conflitto a media intensità, in modo da rendere l’alleato sempre più dipendente e contemporaneamente cercare di stressare l’Occidente e tenerlo lontano dai suoi interessi nel Pacifico. Gli Occidentali e in primo luogo gli Usa devono rendere chiaro a Pechino che l’Occidente non accetterà nessuno strappo alle regole attraverso la forza e che in ogni caso i costi dell’azione cinese sarebbero superiori alle opportunità. Ma per essere efficace questa strategia della dissuasione deve superare la fase degli avvertimenti per consolidare sul terreno l’impossibilità per la Russia di una vittoria. Il sostegno Occidentale all’Ucraina è stato sempre mantenuto ad un livello che cercasse di contenere i rischi di escalation militare e ha sempre evitato che il conflitto scatenato dalla Russia contro l’Ucraina potesse assumere il profilo di scontro Russia Nato. Putin e la sua diplomazia hanno continuamente cercato di evocare questo profilo, da una parte per tentare di giustificare gli errori di strategia e gestione dell’invasione, dall’altra per provare a costruire un fronte internazionale indicando l’aggressione russa come risposta ad una pressione della Nato sui suoi interessi vitali. Dopo un anno di guerra è ormai chiaro al mondo, e gli stessi russi lo sanno, che questa è una guerra di Putin e non, come ha cercato di venderla, una campagna contro il neo Nazismo, contro un nebuloso globalismo e contro una guerra per procura della Nato.  
L’Occidente, intanto, ha pienamente abbracciato il suo ruolo di ‘arsenale della democrazia’ contro il neo-zarismo imperialista e, fino ad oggi, la superiorità strategica e tattica dell’esercito e il coraggio del popolo ucraino, anche grazie alle armi occidentali, hanno sconfitto l’esercito di Putin di reclute non addestrate, ufficiali corrotti, e mercenari criminali. Adesso è il tempo dell’Occidente di incrementare la sua assistenza all’Ucraina, in modo da dissuadere la Cina e sconfiggere la Russia. Anche se gli Usa e la Nato non hanno ancora spedito aerei da combattimento avanzato in Ucraina, possono però iniziare ad addestrare piloti ucraini a volare con essi, dimostrando alla Cina la volontà di sostenere fino in fondo l’Ucraina. Questa politica vorrebbe dire che le cose potrebbero peggiorare molto per le forze di Putin sul campo. Per la Cina, vorrebbe dire che il nostro impegno per l’Ucraina e per l’attuale ordine internazionale che abbiamo contribuito a creare è maggiore dell’impegno di Pechino per Mosca. Il Presidente cinese può avere più di un interesse ad aiutare il collega autocrate, ma il realismo politico gli farà valutare con prudenza il rischio di finire sul lato perdente. 
Putin può ancora pensare di poter logorare gli ucraini (e l’Occidente) attraverso una protratta campagna di decimazione. Le risposte dell’Occidente e della Nato hanno escluso ogni diretto coinvolgimento di forze occidentali in questa guerra, ma ribadito il proprio sostegno. Ma se Putin rimane irremovibile e non vuole fermarsi, poi la sola risposta è incrementare il costo della sua follia spedendo più armi, più artiglieria, più soldi e più aiuti di ogni tipo. 

  1. André Beaufre, generale dell’esercito francese, 1902-1975, comandante delle forze francesi a Suez nel 1956, fu autore di testi fondamentali per le nuove teorie militari come ‘Introduzione alla strategia’ del 1963 e ‘Dissuasione e Strategia’ del 1964.
  2. L’Airland Battle fu la cornice concettuale adottata dall’esercito americano dal 1982, in sostituzione della precedente dottrina dell’Active Defence, del 1976 e successivamente sostituita dalla nuova dottrina del ‘Full Spectrum Operations del 2001, la dottrina enfatizzava lo stretto coordinamento tra le forze impegnate in manovre difensive aggressive tese a restringere il fronte di attacco e l’impiego delle forze aeree per tagliare l’afflusso delle risorse sul fronte. La nuova dottrina prendeva atto della vulnerabilità delle colonne corazzate evidenziata d.all’uso dei nuovi missili anti tank nella guerra del You Kippur del 1973.
  3. Qiao Liang e Wang Xiangsui, generali maggiori dell’Esercito cinese, autori di ‘Unrestricted Warfare’ (Guerra senza limiti. L ’arte della guerra asimmetrica fra terrorismo e globalizzazione) porrà il pensiero militare sulla guerra di fronte alla nuova situazione dominata dall’ubiquità e dall’asimmetria che influenzerà non solo la riflessione teorica ma la stessa organizzazione delle strutture militari e lo sviluppo di nuovi sistemi d’arma militari e non, rivoluzionando contemporaneamente il concetto stesso di sicurezza.
  4. Come è risaputo il vero autore dell’implementazione dei nuovi principi militari nell’esercito russo fu il Generale Nikolaj Makarov, autore della riforma dell’Esercito del 2008-2012. L’autore di questa involontaria disinformazione ,che coniò il termine ‘dottrina Gerasimov’ fu il ricercatore britannico Mark Galeotti, che successivamente ritrattò, sostenendo che la usò solo per avere un titolo evocativo per un post sul blog ,e non per affermare un principio generale sul livello della fondazione di un nucleo strategico sulle guerre che la Russia avrebbe combattuto nel futuro.
  5. Dopo aver ottenuto l’indipendenza il 1° dicembre 1991, l’Ucraina era diventata la terza potenza nucleare mondiale con circa 3.000n testate nucleari tattiche e 2.000 testate strategiche. É anche vero che Kijv aveva il controllo fisico delle armi, mentre i protocolli operativi rimanevano all’Armata rossa e a Mosca. Dopo una trattativa tra Ucraina, Russia, Stati Uniti e Regno Unito a Budapest, nel 1994 fu raggiunto un accordo. Nel cosiddetto ‘Budapest Memorandum’ l’Ucraina accettava di smantellare e consegnare il proprio armamento nucleare e aderire al Trattato di non proliferazione nucleare, in cambio di aiuti economici occidentali e delle assicurazioni dei firmatari sulla propria sicurezza, indipendenza e integrità.territoriale.
  6. Lebensraum – spazio vitale – termine coniato da Friedrich Ratzel nel 1897 in ambito biogeografico, con valenza di carattere darwinistico sociali. Successivamente il generale Karl Haushofer introdusse il temine nella geopolitica e attraverso un suo allievo Rudolf Hess, il termine arrivo nel Mein Kampf di Adolf Hitler e diventò motivo della stessa Operazione Barbarossa con la quale il Terzo Reich invase l’Unione Sovietica nel 1941 spingendosi fino a Stalingrado.
  7. Josph Roth, Viaggio in Russia, Adephi, Milano 1981.
  8. ISW, Russian Campaign Assessment, January 11,2022.
  9. SW, Russian Offensive Campaign Assessment, January 17, 2023.
  10. ISW, Russian Offensive Campaign Assessmenti, March 21, 2023.

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