Editoriale

La guerra va a nord

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Con due operazioni brillanti, il caos nelle comunicazioni generato dalla simultanea esplosione dei beeper e l’azione mirata di decapitazione della catena di comando di Hezbollah, Israele ritorna alla grande strategia nella quale l’esercizio della violenza condotto dall’azione militare sostiene la dimensione politica per la disarticolazione dell’Asse della Resistenza. Si riprende la lezione di Ben Gurion, della difesa attiva per portare la guerra nel campo avversario. Dopo mesi in cui la risposta alla strage del 7 ottobre e la necessaria eradicazione di Hamas, è stata viziata dalla pura esibizione della forza – anche brutale – senza una prospettiva politica, aggravata dalla pretesa che spettasse all’IDF non solo sconfiggere Hamas, ma anche la sua distruzione, con l’illusione che essa potesse essere raggiunta senza una visione politica del dopoguerra, la decisione di spostare la guerra al Nord e darle un corretto obiettivo e sbocco politico, ha principalmente riprodotto quell’unità nazionale che era stata profondamente lacerata dalla condotta della guerra nei mesi terribili che hanno seguito la strage del 7 ottobre e ha ricreato anche una maggiore intesa con gli alleati Usa e Inglesi. In questo periodo è apparso sempre più chiaro quanto la questione palestinese, anche se nidificata nella dimensione della geopolitica dell’islamismo, rappresentato dall’Asse di resistenza, non sia sovrapponibile interamente ad essa. È invece più probabile che la disarticolazione dell’asse di resistenza e il ridimensionamento dell’elemento teologico possa giovare a condurre le questioni israelo palestinesi su binari più politici.

Israele ha sconfitto Hamas, ma la sua distruzione richiede una visione del dopoguerra

Nell’anno alle nostre spalle, Israele ha sconfitto Hamas nelle principali roccaforti della Striscia di Gaza. Le forze di Hamas hanno subito pesanti perdite e non sono più in grado di mantenere livelli di operatività come unità militari. Ma la sconfitta è diversa dalla distruzione.

di Dario D’Italia


Taglio basso

La battaglia di Rafah e i suoi nodi

di Dario D’Italia

L’offensiva a Rafah dovrebbe porre termine all’attuale fase della guerra di Gaza, ma senza un accordo diplomatico che tenga conto dei Palestinesi, Israele e l’intera regione rimarrà instabile ed esposta agli attacchi delle forze anti israeliane e anti occidentali.

Con la consapevolezza che per l’instabilità e la violenza della regione la “Questione palestinese” è spesso la maschera per altri fini egemonici e i nodi da sciogliere sono molteplici. Quindi, la guerra in corso tra Hamas e Israele va ricondotta nel suo specifico, ovvero la sconfitta di Hamas, ma anche raccordata con il quadro regionale dell’“asse di resistenza”. Bisogna perciò riprendere la grande strategia sionista delle guerre arabo-israeliane dal 1948 al 1973: vincere la guerra per offrire la pace.

La Zattera

Combattere il fuoco con il fuoco: la Guerra ibrida nel pensiero strategico cinese

di Dario D’Italia

L’escalation di Mosca con l’invasione dell’Ucraina ha rifocalizzato l’attenzione del mondo sulla guerra iniziata nel 2014 con l’annessione russa della Crimea e con la guerra per procura contro Kyiv nell’est dell’Ucraina. Il successo in Ucraina della Russia nel 2014 e le interferenze russe nelle elezioni delle democrazie occidentali, rivelarono una nuova forma di guerra che la Russia stava sperimentando: la Guerra ibrida. Un termine che è comunemente usato ma è spesso solo vagamente compreso. L’Esercito Popolare di Liberazione Cinese (Epl) ha recentemente iniziato a diffondere nella propria base una sua definizione della Guerra Ibrida, pubblicando una serie di articoli sul suo giornale ufficiale. Gli articoli non sono le prime pubblicazioni sul tema della Guerra Ibrida, ma questa serie è significativa per la sua organicità. La successione di articoli che il problema è stato studiato dall’intero Epl, e rappresenta l’esposizione più autorevole della concezione dell’Esercito cinese sulla Guerra Ibrida finora pubblicata.

Competizione egemonia, la guerra politica e le campagne ibride

La Commissione Militare Centrale, il Partito Comunista Cinese (Pcc), l’Esercito Popolare di Liberazione Cinese e gli apparati della Repubblica Popolare Cinese (Rpc) sono impegnati da anni nella definizione teorica, nell’articolazione operativa e nella comunicazione pubblica di una propria definizione della Guerra ibrida, con una serie di documenti pubblicati sui loro organi ufficiali.


I viandanti

Confini: cadono i cippi, sorgono i Firewall

Nelle nuove mappe topologiche, i cippi che segnavano il margine della pianura, là dove una volta rappresentavano i confini fisici di un territorio, sono stati travolti dalle grandi reti che alla fine del secolo scorso hanno unificato il globo. La globalizzazione ha unificato il pianeta con le sue reti commerciali, digitali, della finanza e delle comunicazioni. Le sovranità territoriali degli Stati sono state messe alla frusta.

Pietre d’Inciampo

Negare alla Russia la strategia per il dominio

La guerra che la Russia ha imposto all’Ucraina, dopo il rovinoso tentativo di blitzkrieg, si è trasformata in una semi statica guerra di materiali. Mentre nell’iniziale tentativo di guerra lampo le capacità strategiche richieste erano il movimento e la qualità dell’addestramento delle truppe, oltre ovviamente a scelte tattiche e strategiche vincenti degli Stati Maggiori, in questa nuova fase contano il numero degli uomini dispiegati, le artiglierie e i sistemi aerei e missilistici. Per il dominio del campo di battaglia e la sua proiezione in profondità contano, infatti, il numero di lanciatori di proiettili, di munizioni, bombe, sciami di missili e di droni. La possibilità di prevalere, in un quadro di relativa parità delle qualità tecnologiche e digitali, è assegnata alle capacità demografiche e industriali delle società coinvolte di fornire i coscritti necessari per condurre i sistemi d’arma dei rispettivi eserciti, ma principalmente le basi militari industriali per il rifornimento del materiale bellico. 

Affrontata da questa prospettiva, appare chiaro che la Russia non potrebbe sconfiggere l’Ucraina o l’Occidente, se l’Occidente intendesse mobilitare le sue risorse per resistere al Cremlino. Secondo i dati dell’Isw (Institute for the Study of War)1 riportati nella tabella qui sotto, le capacità industriali, tecnologiche e militari esistenti e latenti dell’Occidente rendono nane quelle della Russia. Il Prodotto Interno Lordo dei Paesi della Nato e Paesi Europei non membri della Nato, supera i 53 trilioni di dollari, insieme agli alleati Asiatici è oltre i 63 trilioni di dollari. Il PIL della Russia è vicino a 2,2 trilioni di dollari, mentre Bielorussia, Iran e Corea del Nord aggiungono circa 486 miliardi in termini di supporto materiale, per un totale di circa 2,7 trilioni di dollari. La Cina con i 17,9 trilioni porterebbe il confronto a circa 20,8 trilioni di dollari. Come sappiamo la Cina sta sostenendo la Russia, ma non si sta mobilitando per essa ed è improbabile che lo faccia. In questo contesto di base appare del tutto ovvio che se l’Occidente sostenesse lo sforzo bellico ucraino, la Russia non vincerebbe.