Mappe e Capitale. Elementi di geopolitica del capitalismo

Prologo

2021 d.C. Nel corso del briefing del G7 che si è svolto a Falmouth, Cornovaglia, tra l’11 e il 13 giugno è stato illustrato un obiettivo di carattere generale: “this year’s event is expcted to mark a return to strong global cooperation among the world’s major democracies. The leaders of four guest states – Australia, India, South Africa and South Corea – will join the leaders of the G7[1] nations and the European Union, thus reinforcing the group’s global democratic representativeness. The G7 has built up reputation for being an informal framework of cooperation on major global issues, which is driven by a shared commitment to the fundamental values of liberal democracies. This year’s summit is expected to reaffirm these values in the face of assertive authoritarian tendencies elsewhere in the world[2].” L’obiettivo sotteso del summit è stato quello della costruzione di una “Lega delle democrazie” capace di affermare una via alla globalizzazione, nel contesto dei valori liberaldemocratici, e contrastare la variante autoritaria.

Già nel 480 a.C. a Delo i greci, “oi Ellenes” delle polis, furono chiamati a scegliere e giurare su un patto di alleanza contro la minaccia dell’impero persiano, anche allora si trattò di scegliere tra le libertà e le autonomie delle polis e l’ordine delle satrapie orientali dell’impero. Tra il 490 e il 480 a.C. anche attraverso la “Lega di Delo” si fonda quella che fu chiamata la “coscienza nazionale greca”, ovvero la prima radice dell’Occidente. La grecità, che si riconosce come realtà politicamente insopprimibile e opposta all’Asia[3]. Oriente contro Occidente, Hybris contro libertà[4], terra contro il mare[5]. “E non fu tempo di indugi. E già nave contro nave cozzava il rostro di bronzo”[6].

Temistocle, che aveva imposto ad Atene la via del mare, l’uso dell’argento per la costruzione delle triremi usando anche la corruzione e la delazione, convinse e costrinse la flotta greca a dare battaglia negli stretti, secondo l’oracolo di Bacide, di Salamina[7]. Anche allora, la vittoria arrivò dal mare e decisiva fu la supremazia navale che ad Atene dischiuse le porte dell’Impero.

Nei giorni del summit del G7 sono riecheggiate parole evocative: Lega delle democrazie.

Anche se i documenti ufficiali non menzionano nessun passaggio di questo tipo, quello che interessa, per così dire, è la postura geopolitica. In primo luogo quella degli Stati Uniti. Al di là dello scetticismo, figlio di quel cinismo un po’ provinciale dei commentatori nostrani, sarebbe sbagliato non cogliere un passaggio qualitativo nella posizione statunitense.

Dopo la fine del bipolarismo, dopo la fase un po’ caotica dell’unipolarismo degli anni ‘90 del secolo scorso e del primo decennio del nuovo secolo e dopo la fase muscolare e caotica della presidenza Trump, gli Stati Uniti ripropongono un riposizionamento geopolitico globale, ricomponendo uno scacchiere che poggia su due pilastri: l’Atlantico e l’Indo Pacifico.

I soggetti partecipanti al summit del G7 e gli invitati, dove a mio avviso è brillata un’assenza, connessi con l’elemento fluido del mare e dall’elemento politico-culturale dei valori possono essere la cornice della strada liberal-democratica della globalizzazione, da contrapporre al protagonismo aggressivo di quella gerarchico illiberale, ma anche la cornice di riferimento per battere i tentativi populistico localistici delle “democrature”. Il problema vero è che questo framework va riempito di contenuti economici, istituzionali, culturali. Sarà ancora una volta il mare e/o il cyberspazio la nostra speranza di libertà?

I Grandi spazi e la geopolitica del capitale

Nel mondo del capitale classico la ricchezza appare sotto forma di merce. Merce-Denaro-Merce, ma il suo motore vero sarà: Denaro-Merce-Denaro.

L’economia delle merci e la sua cultura politica hanno avuto un lungo periodo di gestazione.

Gli eventi simbolici che costituirono la cornice entro la quale si affermò l’era del capitale e segnarono la frattura tra il medioevo e l’incedere della modernità, furono determinati dal trattato di Tordessillas, 1494[8], che per la prima volta divise il vasto oceano secondo il meridiano (raya) e stabilì le sfere d’influenza su un globo ancora incognito, dall’invettiva di Alberigo Gentili (1552-1608)[9] che con il suo “silete teologhi in munere alieno” affermò il tramonto della teologia come elemento ordinatore delle visioni del mondo e dell’organizzazione delle comunità civili e dalla pace di Vestfalia[10], del 1648, che affermò l’autonomia del potere temporale.

Nell’arco di circa un secolo e mezzo si delineò quella strumentazione dell’ordinamento civile nella forma della statualità, che si fonda da una parte sull’esclusività della forza all’interno dello spazio delimitato dai confini, ovvero il principio di sovranità, dall’altra sul riconoscimento delle altre statualità come pari, o principio di legittimità e non ingerenza. Attraverso l’affermazione di questi principii furono rese stabili in Europa le sintesi politiche – gli Stati – e la messa in forma dello spazio europeo e successivamente, a immagine di questo, quello mondiale.

Lo Jus publicum europeaum

Con il trattato di Tordesillas si riorganizzò, in un contesto globale, il principio dell’appropriazione primaria (il possesso delle terre frutto delle scoperte geografiche) e si delinearono nuove forme di distribuzione. Con il trattato di Vestfalia si definirono i capisaldi dei principi di sovranità e legittimità sulle forme spaziali della terra. Sotto la spinta di queste nuove certezze si diede l’avvio alla costruzione dell’Europa mondo. Con le nuove carte geografiche, l’Europa saldamente al centro del nuovo ecumene, nominava e si appropriava del resto del mondo. Il resto del mondo non cristiano era identificato come territorio vergine, “rei nullis”, ”no name lands”, non soggetto ad alcuna sovranità, pura estensione geografica degli Stati europei a cui appartenevano gli esploratori che prendevano possesso dei nuovi spazi in nome del proprio sovrano. Alle popolazioni indigene non veniva riconosciuta né la sovranità su quei territori, né la legittimità a rivendicarne il possesso. Le nuove terre non venivano acquisite sulla base di guerre di conquista, bensì attraverso la loro nominazione[11] e, una volta identificate con il nome, diventavano per l’appunto possedimenti. La nuova appropriazione coloniale diede una formidabile spinta all’espansione dei mezzi di produzione e alla capacità di dar luogo ad una produzione di beni di consumo. Verso la fine del ‘500 la forma mercantile cominciò ad affermarsi in Inghilterra e nella parte atlantica dell’Europa. L’aumento della circolazione delle merci mise in luce una delle condizioni essenziali del capitale: il movimento.

La forma dell’Europa mondo si andava forgiando sotto la spinta di due logiche autonome, ma non indipendenti. La complessità del moderno si alimentava sia dalla strutturazione dei termini concetto legittimità, sovranità, legalità che mettevano in “forma” il territorio e legavano le popolazioni alle istituzioni, sia dallo sviluppo dallo scambio e produzione di merci in un contesto territoriale in continua espansione che alimentava la circolazione e le forme di accumulazione del capitale, attraverso le varie modalità del contratto scambio.

Queste dinamiche che misero in forma il moderno erano sì autonome, ma non indipendenti, e le interazioni e gli equilibri a cui daranno vita erano frutto di condizionamenti e aggiustamenti continui: non sono armonici, ma possono determinare armonie[12].

Le grandi compagnie commerciali

Il capitale nella sua fase coloniale-commerciale cercò di mettere lo Stato al servizio dei suoi interessi e diede vita alle grandi Compagnie commerciali. Nel suo lungo processo di formazione, lo Stato moderno risponde a logiche che intrecciano i temi della legittimità, dalla quale promana la sovranità e la legalità il cui fondamento, in questa fase, subisce una profonda torsione. Il fondamento teologico che aveva informato l’Evo medio si secolarizzerà in puro archetipo teologico-politico che avrà bisogno di essere rifondato nella metafisica delle monarchie mondane, e  troverà forma definitiva e compimento nella sovranità popolare. Le grandi scoperte d’oltre mare e le nuove rotte transoceaniche diedero una poderosa spinta ai commerci. Il capitale colse, nei Paesi che si affacciavano sull’oceano, l’occasione di dare una formidabile spinta alla sua espansione. Le grandi compagnie commerciali nacquero a partire dal XVI secolo per sfruttare le opportunità commerciali che si stavano spalancando grazie alle terre scoperte in Asia, Africa e America. La “British East India Company” fu fondata il 31 dicembre del 1600. La regina Elisabetta I d’Inghilterra accordò alla Compagnia una “patente reale” che le conferiva per 21 anni il monopolio del commercio nell’Oceano Indiano. L’impresa commerciale, società di capitali anonima con capitale iniziale di 72 mila sterline divise tra 125 azionisti, diventò l’impresa commerciale più potente della sua epoca ed entrò in concorrenza con la consorella francese – Compagnia francese delle Indie Orientali – e la portò alla rovina, conquistando tutti i suoi possedimenti in India, e poi trovò un accomodamento egemonico con la Compagnia Olandese delle Indie Orientali. Nel 1670, Carlo II accordò per decreto alla Compagnia il diritto di acquistare nuovi territori, di battere moneta, di comandare delle truppe armate e di esercitare la giustizia sui propri territori. Nel 1757, la Compagnia aveva messo le mani sull’intero Bengala e, cacciati i rivali francesi, avviò la coltivazione intensiva dell’oppio e la sua lavorazione fino a trasformarlo in prodotto di consumo per il mercato. Il mercato di destinazione fu individuato nella Cina, dove il prodotto aveva sì una sua lunga tradizione nella medicina, ma non era molto diffuso. L’inondazione del mercato cinese con l’oppio prodotto della Compagnia fece diventare il consumo di massa un vizio che irritò il governo cinese il quale impose i divieti sulla droga. Con i due conflitti che si svolsero tra il 1839 e il 1860, l’Impero cinese fu costretto a tollerare il commercio dell’oppio, ad aprire nuovi porti e cedere al Regno Unito l’isola di Hong Kong. Dal suo quartier generale di Londra, la Compagnia estese la sua influenza a tutti i continenti: presiedette alla creazione dell’India britannica, fondò Hong Kong e Singapore, impiantò la produzione del tè in India, combattè privatamente la pirateria, sorvegliò la prigionia di Napoleone a Sant’Elena e, infine, i suoi vascelli furono coinvolti nel celebre incidente del “Boston Tea Party” che funse da detonatore della Guerra d’Indipendenza degli Stati Uniti. La Compagnia fu privata del monopolio commerciale nel 1813 e perse le funzioni amministrative nel 1853. Nel 1860 tutti i possedimenti della Compagnia passarono sotto il controllo della Corona. Il 1° gennaio 1874 la Compagnia delle Indie occidentali fu sciolta. Finiva così la fase del capitalismo coloniale e si apriva quella dell’Imperialismo (1870 – 1914).

Le due logiche, quelle dello Stato e quelle del Capitale, nella loro continua interazione costituiscono continui equilibri in movimento. Il capitale e i loro rappresentanti cercheranno di costruire livelli di governo sovranazionale per favorire la circolazione e l’allocazione del capitale secondo le logiche della profittabilità, mentre le élites territoriali costituiranno istituzioni internazionali per regolamentare le dinamiche monetarie in modo da alterare la logica territoriale del potere per avvantaggiare sé stesse rispetto alla logica nella neutralità territoriale, detto anche cosmopolitismo, del capitale.

Il Movimento è tutto

Secondo Marx il capitale è valore in movimento. Il suo potere è fondato sul movimento e tutto dipende dal suo movimento. C’è, sempre, un flusso di danaro, un movimento di merci, una produzione. Dove c’è un capitale, c’è un lavoro, un lavoro vivo. La forma del potere della moneta è nel suo costante movimento. Uno dei compiti più ardui che si sono posti allo Stato è stato quello di incatenarlo al proprio territorio e controllarne il suo movimento perpetuo. Le strutture formali del potere dello Stato, più statiche e vincolate spazialmente dal territorio, sono continuamente messe in tensione dal perpetuo movimento del capitale.

Nel 1981 Mitterand vinse le elezioni e pensò di attuare il suo programma socialista: nazionalizzare le banche e orientare l’economia al mercato interno. Per attuare queste politiche si imponeva il controllo dei capitali per impedire che si trasferissero all’estero. Questo significava anche il controllo delle carte di credito dei cittadini francesi che si recavano all’estero. In pochi mesi la sua popolarità crollò, fu costretto ad abbandonare il progetto francese di socialismo nazionale.

Nella seconda metà del XX secolo, con la crescente apertura delle economie e degli scambi, la potenza finanziaria del capitale è diventata sempre più forte con la sua capacità di regolare il ciclo dell’economia globale. L’accelerazione del movimento, classificato come turbo capitalismo, ha prodotto il completo scatenamento e sradicamento, come rottura dei vincoli fisici e politici delle gabbie territoriali, confermando la previsione marxiana del potere del capitale come puro movimento.

In questa fase, la logica sistemica del capitale dispiega la sua massima capacità di disciplinare il potere territoriale. Le grandi aziende globali sono i soggetti che hanno sfruttato al meglio la legge dell’accelerazione del movimento del capitale nelle sue forme: denaro, merce, produzione. E, quindi, le decisioni di localizzazione territoriale, e la generazione delle plusvalenze, dipendono da come le leadership territoriali rispondono alle richieste delle imprese. Oggi la Foxconn, una delle maggiori multinazionali di Taiwan, può promettere allo stato del Wisconsin di aprire una fabbrica e occupare determinate maestranze locali, se lo Stato mette a disposizione un pacchetto di sussidi; una compagnia aerea low cost può promettere che opererà voli su uno scalo, creando opportunità di collegamenti per quel territorio, se l’aeroporto può offrire condizioni di costo dei servizi favorevoli e così via. In un mondo che vede il continuo spostamento del potere verso le grandi strutture produttive ed una mobilità geografica sempre più agevole, le piccole differenze geografiche sono diventate ancora più importanti di prima nella massimizzazione dei profitti. Un piccolo vantaggio fiscale tra un posto e l’altro può diventare decisivo, come dimostra l’Irlanda. Questo significa che si sviluppa una spietata concorrenza fra città, fra regioni all’interno degli Stati e a livello internazionale tra gli Stati che cercano di attrarre investimenti. Ma la competizione tra i territori per attrarre gli investimenti significa anche che il territorio deve assumere la morfologia (le caratteristiche di profittabilità: costo dei fattori, reti infrastrutturali, posizione nella catena di valore, contesto ambientale, ecc.) richieste dal capitale.

La morfologia del movimento e la geografia del capitale

Nel suo movimento il capitale si dispone in tre forme. Nella sua forma di denaro è nella condizione della sua massima mobilità. Il medium universale dello scambio è stato storicamente la forma più mobile, sin dalla sua forma in metallo nobile fino a quella odierna di unità di conto digitale che assume l’aspetto ubiquo. Nella sua forma di merce, la sua mobilità è inferiore a quella della moneta e la sua capacità di movimento dipende dalla forma che assume, dalla capacità delle reti fisiche e dai vincoli geografici. Nella sua forma di produzione, assume l’aspetto meno mobile di struttura incatenata al territorio.

Il predominio di una delle diverse forme che può assumere il capitale è correlato ai fenomeni di saturazione. Se la forma di produzione perde capacità di espansione ad un ritmo di remunerazione soddisfacente, o il commercio ristagna, la forma monetaria diventa predominante. Quando la centralità e le capacità produttive e commerciali del mediterraneo persero vigore, le repubbliche marinare di Genova e Venezia divennero prevalentemente centri finanziari. La forma finanziaria della ricchezza aveva molte più possibilità, migrando verso i nuovi centri commerciali aperti ai nuovi traffici oceanici dell’Olanda dei Paesi Bassi e anseatici, dove si svilupparono i potenti centri commerciali e successivamente finanziari di Amsterdam, Anversa, Utrecht e Burges. Al culmine di questa nuova fase mercantile e coloniale, il sistema incontrò il suo nuovo punto di saturazione che determinò un nuovo spostamento della concentrazione del capitale verso la Gran Bretagna. Tra la fine del XVII e il XVIII secolo, la massa del capitale finanziario che migrava verso Londra servì da volano per la rivoluzione industriale che plasmò una nuova fase dell’era del capitale, l’imperialismo, e costituì un diverso tipo di egemonia mondiale. La nuova fase si basava essenzialmente sull’industrializzazione del territorio metropolitano, la formazione di un mercato, la costituzione di colonie e possedimenti per l’approvvigionamento delle materie prime, la successiva creazione di un mercato nelle colonie per assorbire le eccedenze produttive dell’industria metropolitana. Nella sua maturità questa nuova fase fu indentificata come fase imperialista. La successiva fase di saturazione comporto lo spostamento del cuore finanziario dalla City agli Stati Uniti. Negli anni ottanta del secolo scorso, gli Stati Uniti avvertirono i primi segni di saturazione delle proprie capacità produttive e intensificarono la spirale della finanziarizzazione. Lo spirare del secolo vide il tramonto dell’acciaio e l’inizio dell’ascesa dell’era del silicio, il passaggio dalla centralità dell’acciaio e quella del transistor, dai beni fisici durevoli, ai beni immateriali, digitali, turistico e culturali.

Il capitale nella sua forma monetaria-finanziaria aveva anche bisogno di costruire una sua topologia. Una ricostruzione dello spazio fisico che le consentisse di individuare i punti di allocazione spaziale e mantenere la necessaria mobilità per generare profitto. Nel nuovo spazio topologico del capitale la Cina diventò il candidato naturale.

La Geografia[13] e le mappe del Capitale

La prima rappresentazione spaziale del mondo effettuata nell’antichità, derivata dai racconti tramandati oralmente o da descrittivi diari di viaggiatori, fu la prima mappa del mondo composta da Anassimandro, classificata dai suoi contemporanei come “phusiologia”- scienza della natura -. Il catalogo di Ecateo intorno ai luoghi e i popoli lontani, e altri a lui contemporanei, fu rubricato come “historia”. Solo nel III secolo a.C. con Eratostene di Cirene compare il termine geografia. Ma solo nel II secolo d.C., con la “geografia tolemaica”, i documenti geografici presero l’aspetto di dati oggettivi, dello spazio euclideo, che caratterizzerà il nostro rapporto con le scienze. Ma fin dall’antichità i limiti spaziali non corrispondono semplicemente a meri confini geografici: corrispondono ad un modo di pensare e rappresentare sé stessi e gli altri. Stabilire un limite fu ciò che permise ai greci di porre ordine nel mondo, cosicché uno spazio indifferenziato potesse divenire un “luogo”. Tra il XV e il XVI secolo, nel pieno delle scoperte geografiche rifiorirono gli interessi per i trattati geografici. Gli oscuri e poco conosciuti “portulani”, manuali di cabotaggio furono progressivamente sostituiti dalle nuove mappe geografiche con l’Europa come centro e misura del mondo.

Come era stato per il mondo antico, anche per il mondo moderno le mappe e le rappresentazioni dello spazio rappresentano un aspetto centrale rispetto ai grandi temi dell’identità e dell’abitare la terra. Imporre una mappa come misura dello spazio è sempre imporre uno sguardo egemonico. Così la geografia del capitale più si fa aderente al territorio come “andro-geografia”, con maggiore forza impone la sua egemonia[14]. La distruzione creatrice propria della logica dell’accumulazione del capitale costantemente sconvolge gli equilibri economici, politici, le forme della tecnica, l’organizzazione del lavoro, l’ambiente, la società e le forme di vita. Il capitale è la forma egemonica di produzione dello spazio. Da sempre il rapporto uomo natura ha significato capacità di modificare i paesaggi, modellare i luoghi, trasformare le relazioni spaziali e temporali. Oggi questa relazione è costruita sulla necessità del capitale di garantire per la sua sopravvivenza la continua espansione e accelerazione del movimento. La messa in forma del mondo da parte del capitale attraverso il mercato comporta però una incessante proliferazione delle differenze: geografiche, economiche, geopolitiche, sociali, culturali. La logica incrementale del dinamismo costituisce la intrinseca instabilità sistemica e la sua perenne ricerca di nuove soluzioni spaziali alle contraddizioni che continuamente emergono dai suoi precedenti equilibri. Confrontarsi con le attuali forme della produzione e distribuzione, di omogeneizzazione e differenziazione del capitalismo globale, è essenziale per intervenire sui rapporti ineguali, cogliendo le nuove logiche spaziali delle forme di produzione dell’attuale tempo.

Ciascuno degli spostamenti di egemonia comporta drammatici cambi di scala: il Mediterraneo per le repubbliche marinare, l’oceano per i Paesi Bassi, la regione anseatica e la Gran Bretagna e il globo per gli Stati Uniti. Se e come la Cina o l’Asia possano rappresentare il cuore del nuovo spostamento egemonico, non è ancora chiaro.

La rappresentazione dello spazio: dallo spazio euclideo allo spazio topologico[15]

L’attuale fase della finanziarizzazione del capitale gode di una fluidità e di una pervasività che è in grado, molto più che nel passato, di modificare la territorializzazione delle sue strutture e quelle del potere economico e politico. La logica del capitale rimane quella dell’espansione permanente e quella dell’infinito movimento. Entro uno spazio definito, le possibilità di espansione sono limitate dalle risorse, dalla popolazione, dalla quantità e caratteristiche del lavoro vivo, dalle infrastrutture. Con queste condizioni determinate, in determinati momenti, in un determinato territorio, il capitale raggiunge quello che il suo limite di saturazione. A quel punto le eccedenze di capitale si accumulano cercando una nuova collocazione. Nelle prime fasi della sua storia, le risposte furono le colonie. L’esportazione di capitale, e anche di lavoro vivo, in un altro spazio non saturo dove era possibile far ripartire il ciclo espansivo.

Lo spatial fix è stata la risposta alle sovraccumulazioni di capitale che è il prodotto inevitabile della ricerca del profitto. Il territorio con il capitale in eccedenza presta il denaro a qualche altra parte del mondo, che lo usa per acquistare merci dal paese con il capitale in eccedenza. Il Paese di destinazione può usare le merci che acquista o per i consumi o per le infrastrutture, a seconda dei vincoli politici fra i territori e i soggetti interessati.

Verso le metà dell’‘800 l’Inghilterra, dove il mercato interno mostrava i segnali della saturazione e le opportunità di impiego redditizio del capitale cominciavano a scarseggiare, iniziò l’esportazione del capitale. Le modalità di impiego del capitale all’estero erano plurime. Così si diede l’avvio al prestito di capitali all’Argentina per la costruzione delle ferrovie. Il prestito però vincolava il Paese debitore ad acquistare tutto ciò che serviva alla realizzazione delle ferrovie dall’Inghilterra. Il capitale prestato all’Argentina servì ad assorbire l’eccedenza produttiva inglese in acciaio e attrezzature ferroviarie. La costruzione delle ferrovie argentine comportò un abbattimento dei prezzi di trasporto delle materie prime. Questo consentì all’Inghilterra di avere materie prime, come i prodotti alimentari, a minor costo e diminuire il prezzo del pane e di conseguenza i salari. Un’eccedenza di capitale in una parte del mondo viene usata per espandere il sistema capitalistico in un’altra parte del mondo e, allo stesso tempo, per incrementare i profitti nel paese di partenza. Sempre nel XIX secolo, l’Inghilterra, dove il ritmo di accumulazione delle eccedenze di capitale cresceva in modo esponenziale, aveva bisogno di ampliare i propri mercati. Con l’assorbimento dell’immenso territorio dell’India nell’Impero Britannico, gli inglesi aprirono al capitale enormi possibilità. La prima mossa fu la messa fuori competizione dei prodotti dell’artigianato tessile locale diffuso in tutti i villaggi indiani, per sostituirli con quelli importati prodotti dalle fabbriche tessili inglesi. Ma per poter acquistare i prodotti dell’industria tessile inglese l’India doveva pagarli con qualcosa da scambiare, e il te e la juta, insieme ad altri beni da esportazione, non erano sufficienti.

Per costruire una massa monetaria sufficiente, gli inglesi convinsero gli indiani a produrre oppio, che però non doveva arrivare sui mercati occidentali. Per questo si offrirono di aiutarli a collocarlo sul mercato cinese, dove poteva essere profittevolmente scambiato con l’argento cinese. Quando i cinesi rifiutarono di aprire il loro mercato, bastarono le cannoniere della flotta imperiale, insieme e quelle degli altri paesi occidentali, ad imporre l’apertura dei mercati.

La Cina pagava con l’argento l’oppio indiano, gli indiani pagavano con l’argento cinese i tessuti inglesi. L’India era divento un mercato dipendente dall’Industria britannica. In questo caso il capitale, in risposta alla crisi di saturazione del mercato inglese, riconfigurò lo spazio topologico indiano attraverso la distruzione delle strutture artigianali di produzione diffusa di tessuti locali, per trasformare quei luoghi e quei villaggi in mercati per l’assorbimento delle eccedenze produttive tessili inglesi; riorganizzò il territorio con nuove forme di produzione: l’oppio, che doveva essere scambiato con l’argento, sufficiente per pagare i tessuti importati. Un’altra modalità di riorganizzazione della dimensione spaziale funzionale all’accesso delle merci da assorbire furono gli investimenti nel settore ei trasporti e delle comunicazioni, e anche questi rispondeva alla legge del movimento del capitale: accelerazione del movimento delle merci. Ancora una volta la madre patria esportava la capacità produttiva eccedente per costruire infrastrutture in un’altra parte del mondo, purché questa fosse in grado di pagare. Il capitale estero poteva essere impiegato per la costruzione delle infrastrutture che avrebbero abbassato i costi di produzione, compreso il lavoro vivo. La spatial fix, come riconfigurazione topologica dello spazio, agisce sulle diverse forme del capitale, nella configurazione di danaro, merce, produzione. In ogni caso la riconfigurazione logica degli spazi risponde all’imperativo della redditività e plusvalore. Il governo politico del territorio nell’ambito dell’organizzazione imperiale non consente la costruzione di centri di accumulazione del capitale fuori “dall’area metropolitana” e quando il mercato raggiunge i suoi livelli di saturazione, per evitare la stagnazione, la guerra diventa uno strumento per l’ampliamento del mercato stesso. Cosa che l’Europa pagherà duramente nel corso del novecento.

Il vantaggio competitivo dei “grandi spazi” e la costruzione di centri di accumulazione

Quando i capitali inglesi cominciarono ad affluire verso gli Stati Uniti si trovarono in un contesto geopolitico inedito, secondo i canoni dell’imperialismo coloniale eurocentrico. Da una parte i grandi spazi della “frontiera”, uno spazio svuotato dai nativi, ancora una volta terra vergine, il “Far West”; dall’altra una sintesi politica autonoma, Stato e classi dirigenti senza vincoli politici di carattere coloniale. In questo contesto le modalità di allocazione dei capitali rispondevano alle opportunità offerte dal territorio e alle condizioni politiche locali. In questo particolare caso la destinazione del capitale andò verso le infrastrutture anziché ad alimentare i consumi. La concentrazione di risorse per le infrastrutture gettò le basi per la formazione di un centro di accumulazione del capitale concorrenziale con la City. Il decollo industriale avvenne nel contesto di una espansione globale, la domanda di macchine per la produzione era in continua espansione sia negli Stati Uniti, sia in Inghilterra, sia in Europa. Il vantaggio competitivo dei grandi spazi si manifesta con l’esplosione dell’infrastrutturazione e la costruzione di un mercato continentale. Infrastrutture di base, produzione, rapidità dello spostamento delle merci, mercato interno di carattere continentale, accelerazione del movimento del capitale sono le condizioni che permettono lo sviluppo di un centro di accumulazione del capitale in grado di competere con quello inglese o con quelli europei.

Con lo spostamento del centro di accumulazione del capitale negli Stati Uniti, il “grande spazio” o mito della frontiera segnò l’ennesimo passaggio di scala.

La riorganizzazione topologica dei grandi spazi si sviluppa secondo due assi: spazialità e temporalità. Gli investimenti nelle ferrovie degli Stati Uniti avranno un tasso di ritorno stimabile sul tasso di crescita di quell’economia con un arco temporale tra i 10 e i 20 anni. Questo impose la costruzione di un sistema creditizio di tipo particolare. Una rivendicazione monetaria trasferibile e commerciabile costituita su un qualcosa che ancora non esiste. Ma queste infrastrutture la cui realizzazione era proiettata nel futuro, recavano anche la promessa di un’accelerazione del movimento del capitale e quindi del rendimento, diventarono la base per una nuova forma di accumulazione e una nuova dinamica nella circolazione del capitale. Le opportunità della riorganizzazione topologica del capitale e i suoi aggiustamenti spazio-temporali si sono diffusi nella seconda metà del secolo scorso e hanno rappresentato il motore della globalizzazione e della iper finanziarizzazione dell’economia, dove il futuro come merce scambiabile nel mercato è parte integrante del presente.

Perché avevano ragione Wilson e Roosevelt e torto Churchill?

Con la vittoria della Seconda Guerra Mondiale, o meglio la seconda fase della Guerra civile europea, Churchill riteneva che il sistema del mercato capitalistico potesse ancora prosperare nei confini dell’Impero, così come convertito nel Commonwealth. Churchill e l’Europa si resero bruscamente conto con la crisi di Suez, del 1956, che il centro di accumulazione del capitale e i fulcri del nuovo assetto geopolitico del mondo erano allocati fuori dall’Europa.

Le riorganizzazioni topologiche degli spazi indotte dal capitale interagiscono con le precedenti mappe territoriali. Il capitale è alla continua ricerca delle condizioni dell’espansione ed incremento della mobilità. Il capitale compete sia per il margine, sia per la quantità del profitto.

Come è stato accennato in precedenza, nel caso dell’India, l’imperialismo coloniale inglese aveva usato le eccedenze di capitale per la costruzione di un mercato destinato ad assorbire le eccedenze produttive del Paese prestatore. Il denaro venne utilizzato principalmente per determinare un livello di consumo compatibile con il livello delle eccedenze della madrepatria. Attraverso la direzione politica, il centro di accumulazione metropolitano controllava che non si costituiscano, nei territori soggetti, centri di produzione per l’accumulazione concorrenti.

Il processo di riorganizzazione topologico degli Stati Uniti si mosse secondo caratteristiche diverse. Le eccedenze di denaro della City si mossero sempre alla ricerca di collocazione profittevole. In questo caso non è il controllo politico del centro imperiale ad orientare le modalità di collocare le eccedenze finanziarie e produttive, ma l’aspettativa della profittabilità indotta dall’opportunità del “grande spazio”: ritorna il mito espansivo della frontiera e dall’affidamento sulla credibilità del futuro. La riorganizzazione del tempo e dello spazio in funzione del mito espansivo si affermava sulle mappe eurocentriche, dello spazio euclideo, con le gerarchie determinate dalle potenze imperial-coloniali.

Dopo un lungo periodo di aggiustamenti, alla fine della Seconda Guerra mondiale, l’economia, in particolare quella degli Stati Uniti, che non aveva subito le devastazioni della guerra, rischiò di non poter più utilizzare l’enorme aumento delle capacità produttive dovute allo sforzo bellico che, accoppiate alla smobilitazione dell’esercito, poteva dar vita ad un ciclo depressivo fatto di eccessi di produzione e disoccupazione di massa. Il tema che si pose alla potenza dominante era quello di un poderoso ampliamento dei mercati. Per quanto riguardava il territorio europeo, quantomeno quello occidentale, la priorità era la ricostruzione. Il piano Marshall fu lo strumento per concedere crediti all’Europa e allocare le eccedenze, soprattutto alimentari, ma servì anche per ricostruire strutture infrastrutture e centri di accumulazione del capitale. Per il mondo extraeuropeo vi era la possibilità di ereditare il sistema coloniale anglo-francese o scegliere una strada alternativa: la decolonizzazione e un sistema sempre più libero di commercio globale. Non si trattava di una scelta morale o ideologica, libertà contro sottomissione: si trattava di costruire nuove mappe globali, nelle quali i criteri di apertura offrivano ai centri di accumulazione del capitale maggiore mobilità, ma per questo avevano bisogno di spazi più aperti. Avevano bisogno di garantire maggiore mobilità (libertà) al capitale, ma anche ai soggetti rispetto alle gerarchie delle vecchie mappe coloniali e imperiali. Le nuove aperture erano comunque aperture sul rischio: l’affrancamento dalle vecchie gerarchie della geopolitica coloniale esponeva i soggetti al rischio che la nuova apertura imponesse il vincolo di nuove gerarchie dettate dal capitale sul lavoro vivo, sull’appropriazione degli spazi e delle materie prime.

Nuove opportunità per il capitale di definire nuove topologie degli spazi, ma anche opportunità per i popoli colonizzati di uscire dalle mappe euclidee eurocentriche, e nello stesso tempo opportunità per il lavoro vivo di costruire una topologia degli spazi di una vita non soggetta.

La decolonizzazione costituì così una nuova dimensione spaziale per una poderosa crescita dei mercati che trainarono la ripresa produttiva. Il progetto americano, del dopoguerra tra il 1945 e il 1970, segnò un periodo di espansine straordinario dell’economia globale trainato dalla leadership americana, e da questa dipese anche la nascita e il consolidarsi di centri alternativi di crescita e accumulazione del capitale in Giappone e in Europa (Germania ovest).

Il mondo dopo Bretton Woods

Nel dopoguerra i flussi dei capitali erano regolati in coerenza con l’accordo di Bretton Woods del 1944: il controllo politico sui movimenti delle masse monetarie e l’ancoraggio al Gold standars disciplinavano le modalità di allocazione delle stesse sul territorio. Nell’agosto del 1971, il presidente degli Stati Uniti, Richard Nixson, approvo la legge che sospendeva l’obbligo per la Federal Reserve di convertire dollari in oro al rapporto fisso di 35 dollari l’oncia, come stabilito nel 1944 a Bretton Woods. Nel dicembre dello stesso anno, per evitare il caos, i rappresentanti del Gruppo dei Dieci si riunirono a Washington dove nacque lo “Smithsonian Agreement”, con il quale il fu definito il cambio dollaro oro in 38 dollari per oncia, senza ripristinare l’obbligo per gli Stati Uniti di scambiare dollari con oro. Per le altre monete fu stabilita una banda di oscillazione intorno alle nuove parità. Con la denuncia dell’accordo da parte degli Stati Uniti, nel corso degli anni settanta, il capitale acquistò una sempre crescente capacità di movimento.

La crescita del polo tedesco e nipponico fu anche indotta dalle logiche delle politiche di potenza dovute alla Guerra Fredda. La strategia del contenimento fu dettata dalla potenza egemone, dove la mappa spaziale della potenza interagiva con la topologia spaziale del capitale. Le due logiche sono autonome, ma non indipendenti e subiscono continue interazioni. L’approccio sovietico alla logica di potenza, per alcuni versi mostra la meccanica adesione alla geopolitica classica basata su mappe euclidee, con prevalenza della fisicità del territorio sulle nuove topologie funzionali. La Russia sovietica sia rispetto all’occidente, sia sulla frontiera orientale e alle rispettive sfere di influenza, mantenne un orientamento classico. Ad occidente difesa avanzata nelle pianure dell’Europa dell’est, per esorcizzare il ricordo delle armate napoleoniche e naziste; ad oriente contenimento ed egemonia sulle steppe; a sud pressione per l’accesso ai mari caldi. La geopolitica sovietica si pose in forte continuità con quella zarista. Non ci interessa in questa sede analizzare il confronto bipolare e la funzione della MAD (Mutua Distruzione Assicurata).

Il Capitalismo scatenato[16]

Con il lemma “scatenato” non si vuole indicare solo una capacità di movimento, ma uno slegamento dal territorio, uno scardinamento dai ceppi tellurici, una dimenticanza di ogni nostalgico legamento con la quiete del tempo, la pienezza dello spaesamento e l’ansia di costruire nuove connessioni logico spaziali della continua espansione.

Con l’implosione dell’URSS per gli USA sorse il problema di come affrontare la competizione con la formidabile concorrenza nipponica e tedesca. Alla fine degli anni ottanta scelsero il sentiero che già conoscevano: espansione come maggiore movimento e maggiori aperture. Erano convinti che le aperture alla riorganizzazione del capitale li avrebbe ancora una volta favoriti.

La doppia manovra della decolonizzazione dell’Europa dell’Est e l’ulteriore liberalizzazione globale, fu la risposta americana sul crinale del secolo. L’ordine neoliberista, la rimozione o riduzione delle barriere doganali, la creazione di una rete sistemica globale accelerò esponenzialmente la velocità di spostamento di capitali, merci e capacità produttive. Attraverso la rete il denaro era diventato ubiquo.

Lo scatenamento del capitale non segna la fine della politica, come qualcuno aveva enfaticamente sostenuto, con il trionfo di una presunta lex mercatoria, con gli spazi economici autogovernati, in assenza di norme statali. La libertà degli scambi non è un fenomeno di natura, ma una possibilità di politica economica, un accordo per scambiarsi le merci anziché predarsi. Su questo punto è utile ribadire un detto di Giovanni Gentile che “la politica non si può combattere o mettere da parte se non con un’altra politica; cioè con la politica stessa”[17]

La creazione di nuove tecnologie nel campo delle reti dei trasporti, in primo luogo quelle marittime e delle comunicazioni, sconvolge le “catene di valore”; le grandi conglomerate, le nuove multinazionali emergenti costruiscono le proprie topologie spaziali con reti che avvolgono l’intero globo.

Le grandi compagnie globali dell’hi-tec (Apple, Google, Facebok, ecc) nel nuovo ordine economico che si sta costruendo, basato sullo sfruttamento dell’esperienza umana sotto forma di dati come materia prima per subliminali pratiche commerciali, orientamento al consumo e alle proprie scelte di vita, e imposizione del proprio dominio sulla società, in aperta sfida con l’organizzazione dei poteri pubblici e le libertà personali[18], svolgono lo stesso ruolo che ebbero le grandi Compagnie commerciali del XVII e XVIII secolo.

La dinamica del capitale nelle sue tre forme (monetaria, mercantile e produttiva), in uno spazio globale neutro e autoregolato, senza vincoli politico-territoriali, si muove alla ricerca della massimizzazione del suo scopo essenziale: l’accelerazione del movimento espansivo.

L’ordine neoliberista improntato al credo autoregolativo, nell’ultimo quarto del XX secolo, ha impattato una realtà territoriale che rappresentava la fine degli equilibri politico-militari della Seconda Guerra mondiale e del susseguente ordine bipolare. Questo spiega alcune delle caratteristiche che hanno assunto le mappe topologiche e gli aggiustamenti territoriali che si sono avuti in alcuni spazi.

Nella discussione economica e politica del periodo, i fenomeni osservati furono indicati con le loro connotazioni geografiche, ma sempre secondo mappe geografiche euclidee.

Il secolo del Pacifico[19]

Sotto questo titolo si cercò di descrivere i fenomeni che nel corso degli anni sessanta e ottanta si erano verificati in Giappone. L’economia giapponese nel corso degli anni sessanta aveva avuto un alto tasso di sviluppo e alla fine degli anni ’80 del secolo scorso aveva un imponente massa di capitale eccedente. Così i giapponesi cominciarono a costruire e sperimentare le topologie delle loro eccedenze di capitale. Cercarono di colonizzare il mercato di consumo degli Stati Uniti, nel quale collocare le eccedenze della loro industria automobilistica, entrarono nelle strutture della rendita immobiliare, il Rockefeller center e nella produzione dei beni immateriali, la Columbia pictures. Il capitale in eccedenza si riversò principalmente negli Stati Uniti, ma si diffuse anche in altri mercati emergenti del sud America, qui addirittura con piglio imperialista.

Le tigri asiatiche

Il centro di eccedenza costituito dal Giappone fu sottoposto ad una spietata concorrenza da altri centri sparsi nel pacifico, subito individuati come centri emergenti e denominati le tigri, fra le quali emergevano la Corea del Sud, Taiwan, Hong Kong, Singapore.

Anche nel caso della Corea del Sud, l’accumulazione del capitale ai suoi inizi fu sostenuta dagli Stati Uniti, in funzione di contenimento dell’espansionismo sino-comunista nel Pacifico, i quali favorirono i trasferimenti tecnologici e l’accesso al mercato statunitense. Così alla fine degli anni ’80 anche la Corea del sud comincia a generare enormi eccedenze di capitale. Anche questo nuovo centro di accumulazione deve costruire una sua topologia allocativa. Organizzò la produzione automobilistica negli Stati Uniti, entrò nelle aziende elettroniche, finanziò il consumo americano al fine di collocare le sue eccedenze produttive. Nel contempo organizzò la produzione, con metodi brutali, in altri paesi. In quegli anni in America latina e Africa compaiono società di sub appalto coreane. La stessa parabola si osserva a Taiwan, anch’essa nella fase iniziale favorita dai finanziamenti americani, ma la sua evoluzione ha avuto un esito diverso. Per il nuovo centro di accumulazione lo spazio dove collocare le proprie eccedenze monetarie, è la Cina. Il nuovo campione è la Foxconn. Con l’apertura dell’economia cinese degli anni ’80 del secolo scorso, sulla scia di Taiwan, si mossero gli altri centri di accumulazione del Pacifico. Il Giappone, la Corea del Sud e Hong Kong cominciarono ad investire in Cina. Il tessile di Hong Kong, che aveva battuto il tessile inglese, aveva bisogno di espandersi e si aprirono le praterie cinesi: Shenzhen, masse sterminate di lavoratori a basso costo e un futuro mercato illimitato.

Alla base dell’industrializzazione cinese degli anni ’70 e ’80 del secolo scorso ci sono queste eccedenze di capitale e capacità produttive che cercano nuove collocazioni spaziali. Le Tigri del pacifico mostrarono grande capacità di movimento e rapidità. Mentre la Cina, una volta avviato nel suo grande spazio, il suo centro di accumulazione si mostra da subito concorrente temibilissimo, alcune delle Tigri mostrano crescenti segni di difficoltà. Anche se i grandi campioni globali continua ad espandersi, come Foxconn, azienda taiwanese, che occipa 1,5 milioni di persone in Cina, ha capacità produttive in America latina, in Africa, vuole aprire stabilimenti negli Stati Uniti. Il capitale è alla continua ricerca della sua topologia ottimale.

Il Capitalismo politico: la geopolitica tra Mackinder e Spykman[20]

La crisi globale del 2008 fece emergere il problema del nuovo centro di accumulazione globale costruito su un “grande spazio”: la Cina. Il principale mercato di consumo, gli Stati Uniti, crollò e le esportazioni cinesi si ridussero drasticamente. In quello stesso anno, però, si osservò, per la prima volta, che le esportazioni di capitali cinesi superarono gli investimenti di capitali stranieri in Cina.

La Cina si manifestò al mondo come centro di esportazione di capitale molto aggressivo. La maggior parte delle esportazioni di capitale presero forma di crediti commerciali, anziché investimenti diretti nella produzione. La Cina iniziò ad offrire credito commerciale all’Africa orientale perché costruisse il suo sistema e reti ferroviarie ed assorbisse l’eccedenza cinese nella produzione di binari d’acciaio. La stessa manovra effettuata dall’Inghilterra con l’Argentina nel XIX secolo. Progressivamente, tutto il Mondo viene coinvolto nella ricerca di nuovi aggiustamenti spaziali che permettessero di collocare il capitale cinese in eccedenza.

La nuova “topologia spaziale” del capitale cinese impatta sullo spazio, definito dalle classiche mappe geografiche euclidee, con la “Belt and Road Initiative”, la via della seta nella nuova geopolitica sinocentrica. L’obiettivo strategico per il quale l’eccedenza del capitale cinese viene impiegato è rappresentato dalla riorganizzazione globale delle reti (reti fisiche, corridoi ferroviari, marittimi, aerei, pipeline energetiche e reti digitali) e risponde ad una nuova e più aggressiva geopolitica. Per la Cina il problema dell’eccedenza di capitale viene immediatamente messo al servizio di un progetto geopolitico, nel quale l’Asia centrale viene considerata naturalmente assorbita nella sfera d’influenza cinese, attraverso gli investimenti infrastrutturali.

Come abbiamo accennato, mentre gli Stati Uniti hanno organizzato prioritariamente il loro potere globale attraverso il dominio marittimo (Mahan – Spykman), l’attuale impostazione geopolitica cinese sembra passare attraverso una rilettura di Mackinder, con il perno del mondo (nuovo Heartland) costituito da un asse Russo-Cinese e lo spostamento del Mar cinese meridionale e le propaggini indopacifiche nella “Mezza luna interna”. In questa prospettiva il conflitto sempre più aperto tra Cina e Stati Uniti rappresenta un elemento portante. Il governo delle rotte marittime e il controllo degli stretti è una chiave strategica per i futuri assetti globali. Ma per Pechino, in una visione neo-mackinderiana della geopolitica, il controllo degli assi spaziali dell’Asia centrale, dove gli Stati Uniti hanno maggiore difficolta a contrastare la loro influenza, è altrettanto essenziale. E in questo momento la Cina sembra avere le migliori carte da giocare, proprio in Asia centrale. Questo potrebbe spiegare in parte l’atteggiamento brutale nei confronti degli Uiguri mussulmani della Cina occidentale. I cinesi, in questa prospettiva, continueranno ad usare le eccedenze di acciaio e cemento per costruire ferrovie in Asia centrale e anche in Europa. I primi treni dalla Cina a Londra hanno iniziato a viaggiare con un tempo di percorrenza di due o tre settimane, rispetto alle sei richieste dai viaggi marittimi[21].

I cinesi immaginano una connessione ad alta velocità per tutta l’Asia centrale. Probabilmente il progetto non avrà profittabilità, nei tempi considerati, ma alla lunga potrebbe riconfigurare la struttura del mondo. Per la topologia del capitale rappresenterebbe un assett fondamentale della sua riconfigurazione spaziale con la sua capacità di accelerare il movimento delle merci. Il problema diventa di ordine strettamente geopolitico del controllo degli spazi interessati dall’infrastruttura. In questa prospettiva il progetto cinese della “Belt and Road Initiative” utilizza la capacità di allocazione delle eccedenze di capitale o produttive, ma il suo esito è prioritariamente di ordine geopolitico. I cinesi in questa fase stanno usando il centro di accumulazione non esclusivamente secondo la logica del capitale: espansione, incremento della velocità di movimento, incremento della profittabilità e ulteriore alimentazione del centro di accumulazione. Ma secondo una geopolitica di potenza, che potrebbe, se non ben equilibrata, finire per depotenziare le capacità auto-espansive del movimento stesso. Come abbiamo visto non esiste una pura logica dell’economico, essa è sempre co-determinata da vincoli politici e geopolitici. Il problema sono i livelli di interazione e il pluralismo dei decisori delle scelte allocative, delle strategie espansive e produttive e anche degli obbiettivi geopolitici dei decisori pubblici e le loro rispettive autonomie.

Dal lato geopolitico[22] dopo anni di non conflittualità tra Cina e Stati Uniti, si stanno sempre più profilando gli elementi strategici di contrasto tra gli attori dei grandi spazi. Sempre più in primo piano appare il teatro del mar cinese meridionale. Mare strategico per le grandi rotte intercontinentali per gli Stati Uniti, cortile di casa e linea di difesa avanzato per la potenza emergente cinese. Nel cuore dell’Heartland, il lungo inverno che ha segnato i rapporti tra Russia e Cina mostra segni di disgelo. Il banco di prova di un nuovo asse geopolitico potrebbe poggiare sulle reti di trasporto attraverso l’Asia centrale, l’infrastruttura ferroviaria transcontinentale del “cuore del mondo”.

Le indicazioni che possiamo ricavare da questo sintetico excursus sulla geografia globale del capitale, della sua ontologica necessità espansiva, attraverso la perpetua formazione dei centri di accumulazione e necessità di ricollocazione spaziale delle eccedenze, sono che questi continui aggiustamenti rispondono sia alla necessità geo-economica sottostante alla logica della crescita composta del capitale, sia ad una manifestazione geopolitica sottostante a logiche di sicurezza e potenza degli Stati. Le configurazioni topologiche, storicamente determinate, sono sempre frutto dell’interazione reciproca. Quando la dimensione geopolitica si è imposta come struttura portante dello Stato Nazione e il concetto di espansione è stato traslato sul territorio e tematizzato come “spazio vitale”[23], come all’inizio del secolo scorso, l’umanità ha sofferto due terribili guerre mondiali, o meglio una lunga guerra civile europea che ha coinvolto il mondo e decretato la fine dell’Europa- mondo, dell’eurocentrismo, politico, economico e delle sue rappresentazioni cartografiche.

Lo straniero residente: le popolazioni quantiche

Da quando la Cina ha dato il via libero al terzo figlio si sono riaperte le discussioni sulle questioni demografiche. Le misurazioni statistiche delle popolazioni sono state elemento sempre più decisive nella definizione delle politiche delle nazioni nel corso delle modernizzazioni. Le classi maschili mobilitabili per la guerra o per il lavoro determinavano il peso politico del proprio Paese e anche le sue mire espansioniste verso l’esterno. La forma Stato nazionale e la forma produttiva del capitalismo, nella sua fase imperialista, testimoniarono plasticamente la centralità della composizione demografica della popolazione mobilitabile come l’espressione più genuina della potenza di una nazione sia come “fante”, inquadrato nelle armate dell’esercito di massa, sia come proletario, nei nuovi opifici industriali dove si razionalizzavano le prime catene produttive. Marginalizzata l’Europa e riorganizzato il mondo nel condominio bipolare, le classi demografiche mobilitabili diventarono essenzialmente l’esercito dei lavoratori: il proletariato, ovvero il lavoro vivo indifferenziato. L’organizzazione della produzione e dei mercati nazionali, con le loro progressive integrazioni, determinarono in Occidente quella fase nel quale il conflitto tra capitale e lavoro fu inquadrato e disciplinato in forme di negoziazione conflittuale per la ripartizione del plusvalore generato dal processo produttivo. L’esito e il livello della redistribuzione, di volta in volta soggetto a rinegoziazione, assunsero le due forme classiche, quello della redistribuzione attraverso l’imposizione fiscale, il Welfare di impianto europeo o socialdemocratico con una funzione attiva dello Stato, e il modello atlantico della redistribuzione attraverso i salari, incentrato sulla forza contrattuale e politica dei sindacati[24].

Nel modello “socialdemocratico europeo”, con il ruolo attivo dello Stato e la produzione della popolazione attiva, il lavoro vivo garantiva il livello e i confini del welfare del resto della popolazione, mentre quello di impianto atlantico era più organizzato da forme assicurative sui personali percorsi soggettivi e le rispettive storie occupazionali. In ogni caso il grado di distribuzione della ricchezza prodotta tra i fattori dipendeva dai rapporti di forza tra capitale e lavoro vivo indifferenziato. Il questo quadro concettuale, il tema della demografia e quello della “popolazione attiva e mobilitabile” diventa un patrimonio nazionale soprattutto nelle nazioni dove la funzione distributiva è maggiormente governata dallo Stato. L’irruzione delle masse all’inizio del novecento coincise anche con il collasso dei quattro imperi: Tedesco, Austro-Ungarico, Russo e Ottomano e diede vita a nuove polarità geopolitiche, le masse attive diventarono caratteristiche strutturali del territorio. Per la riorganizzazione degli spazi liberati dal dissolvimento delle precedenti autorità, per legittimare confini più o meno arbitrari, per rafforzare profili culturali confusi o deboli, si ricorse a piene mani ai miti politici identitari di impianto romantico che sostanziarono il mito della nazione e i conseguenti nazionalismi: l’antica eredità dei Galli per la Francia, il germanesimo nibelungo per l’arianesimo tedesco, l’antica Roma per l’Italia di Mussolini, gli eroi della loro poesia epica per gli Slavi. Tutte queste operazioni culturali comportavano semplificazioni, approssimazioni, veri e propri falsi miti, ma funzionarono da carburate per cercare di costruire coscienze identitarie forti. La nazionalizzazione delle masse del novecento avviene attraverso questo doppio processo, quello della riorganizzazione produttiva capitalistica e quella degli Stati alla ricerca di legittimità, l’incatenamento delle popolazioni ad un territorio attraverso radici più o meno genuine, funzionava sia per alimentare con il minor costo la nuova struttura produttiva, sia per esibire politiche di potenza.

Con la fine del condominio bipolare, l’aumentata capacità di movimento del capitale innesca un’accelerazione del movimento del lavoro vivo e del desiderio di allocare le proprie forme di vita nelle condizioni più desiderabili, anche se gli Stati continuano a considerare il dato demografico della popolazione attiva in rapporto alla popolazione, come patrimonio nazionale e la residenza come necessità identitaria.

Oggi “il talento non si identifica sulla base della nazionalità; si identifica semplicemente come tale. Geograficamente il talento è mercenario[25]”. I nuovi colletti bianchi: tecnici delle ITC, insegnanti delle scuole internazionali, studenti e laureati delle business school, creativi, operatori delle imprese tecnologiche e della consulenza sono di fatto soggetti senza nazionalità; i legami ai loro circuiti professionali di appartenenza sono più solidi di quelli per il paese d’origine. La mobilità non interessa solo giovani talenti, si muovono anche coloro che cercano stili di vita, cure mediche, riferimenti sociali e contesti culturali. I flussi sono orientati da variabili molteplici, imposte, servizi pubblici, disponibilità di residenze, istruzione, stabilità politica, dove si determinano opportunità, lì si creano flussi migratori. Le nuove culture, i valori identitari globali, lavoro a distanza, moltiplicazione dei mercati in crescita alimenteranno continuamente il già nutrito esercito degli “espatriati permanenti”, per i quali la patria è semplicemente il posto in cui si abita per il tempo in cui si resta.

I biglietti da visita dei giovani non hanno più un indirizzo fisico dell’ufficio, ma i suoi contatti virtuali: mail, profili di Fecebook, Twitter, WhatsApp, Instagram. In Cina con il QR code per WeChat puoi fare di tutto. I documenti non sono più conservati in uffici fisici, bensì nel cloud; i pagamenti non si fanno con assegni ma su app; le riunioni di lavoro non si fanno intorno ad un tavolo ma su Teams e Meets. Non vai più in ufficio perché sei l’ufficio[26]. Il cyberspazio è sempre più affollato, intere città virtuali con migliaia di visitatori virtuali si incontrano in showroom, ambasciate, sale conferenze, raduni. Per migliaia di persone il mondo reale è quel luogo che deve consentirti di vivere al meglio la vita online. Per il nuovo espatriato permanente il tema è qual’è il gap che separa dove sono da dove vorrei essere e come mi muovo di conseguenza. Questa aspettativa genera la corsa degli Stati ad offrire condizioni che attraggono questi nuovi nomadi che, una volta insediati, usano la loro capacità di consumo sul territorio, determinando un vero e proprio mercato della residenza. Sempre più Stati elaborano programmi per attrarre migranti ad alta competenza implementando nuove infrastrutture legali che cominciano a delineare i profili dei cittadini globali nomadi. Il programma di residenza digitale in Estonia offre una registrazione d’impresa e l’accesso al circuito EU. Nel 2020 ha adottato un visto per “nomadi digitali” e si stanno sperimentando le possibilità di un sistema previdenziale in cloud che i lavoratori possono finanziare autonomamente, e goderne ovunque. La tecnologia ha dematerializzato il mondo fisico della ricchezza e delle cose trasformandole in bit che possono essere adattate alle necessità dell’allocazione spaziale: la stessa cosa sta succedendo per gli esseri umani. In California le piattaforme di assunzione governate dall’intelligenza artificiale valutano milioni di applicazioni e gestiscono team virtuali in tutto il mondo. Queste nuove forme di mobilità e rapporto con il territorio non riguardano solo il segmento della popolazione attiva, ma riguardano sempre più l’intera popolazione. Il Canada è diventato il primo Paese nel quale i pensionati americani riscuotono la propria pensione, seguito dal Messico, Costa Rica e Panama. Circa un milione e mezzo di americani si sposta all’estero per sanità turistica. Nei Paesi europei, sempre più pensionati dei Paesi del nord si spostano verso i Paesi del sud, mentre un contro flusso di giovani va dal sud al nord. L’Europa, con i suoi trattati, ha già inaugurato una sorta di “cittadinanza strumentale”. Molti paesi del mondo ne stanno studiando forme simili che alimenta un vero e proprio mercato globale.

La compresenza di due fenomeni strutturali di spazializzazione e localizzazione, con le loro uniformazioni tecno-economica e diaspore culturali identitarie innescate anche dai processi migratori transnazionali, determinano contro-risposte paradossali.

Tanto più avanza il processo di omologazione e tecno-finanziarizzazione, tanto più si differenziano i “mondi di vita”, le varianti etiche e antropologiche che il capitale tende ad assumere nelle diverse aree del pianeta. Al forte impulso globalizzante del nomadismo strumentale dei soggetti post-identitari si contrappongono resistenze locali del populismo neo-identitario. Questi fenomeni neo-identitari si alimentano da un lato dal risentimento e frustrazioni delle frazioni di classi dirigenti territoriali e di interi ceti sociali marginalizzati dai processi di accelerazione della mobilità e, dall’altro, da una nuova mitologia dei torti e delle responsabilità dell’intero processo di modernizzazione con la quale l’Europa ha dato forma al mondo, dalle scoperte geografiche, alle colonizzazioni, all’Occidente come valore. Il problema identitario si articola intorno alle questioni dell’incardinamento o incatenamento del soggetto al territorio e del suo movimento. Non si dà solo una relazione spaziale, bensì anche temporale, nel senso bidirezionale. I temi posti dai movimenti del “cancel culture” e “Wake”, nella loro critica alla destrutturazione del potere dell’Occidente, sono anche il prodotto degli spostamenti spaziali dei centri topologici del potere. La marginalizzazione geopolitica dell’Europa ha dato forma ad una critica sulle responsabilità della radice della modernizzazione – da Colombo a Churchill – dello stesso Occidente. L’emergere dei nuovi “Grandi spazi” come centri di accumulazioni e frazioni politiche territoriali (Cina, India, ma anche Australia, Sud Africa) alimenta il bisogno di una legittimazione che trova nella ricostruzione mitica radici e contrapposizioni politiche che ne legittimano l’autorità. Non una destrutturazione del potere, ma una nuova mistica del potere. La storia perde la sua processualità e la sua drammaticità in questi nuovi festival della rappresentazione.

Nell’attuale fase della globalizzazione il mondo è caratterizzato da una “compressione spazio-temporale”. Con questa espressione non si intende riproporre il termine concetto di “Glocal”, perché questa compressione spazio-temporale vuole descrivere una doppia relazione che vede, da una parte una globalizzazione del locale e dall’altra una localizzazione del globale. Questo doppio flusso produce una compressione dello spazio, ma anche una diaspora nel tempo. Miliziani talebani o combattenti dell’Isis e militari americani o della coalizione occidentale dislocati nello stesso spazio vivono tempi qualitativamente diversi. Gli uni incatenati ad un tempo ancestrale del suolo, usano il globale – armi, tecnologie, comunicazione – come esteriorità; gli altri padroni della contemporaneità usano le tecnologie, le armi, le comunicazioni come loro ordinaria modalità di mettere ordine in uno spazio neutro. Guerre che si combattono con i corpi nello spazio, ma in tempi qualitativamente differenti. Le guerre asimmetriche non si alimentano solo della relazione razionalizzazione contro spontaneismo, ma anche dal fatto che si svolgono su mappe spazio temporali diverse. Lo spazio euclideo e la freccia unidirezionale del tempo sono armi potenti con le quali è stato messo in forma l’Occidente. Di tempi radicalmente diversi fanno quotidiana esperienza i nomadi e gli immigrati che vivono fianco a fianco con i nativi occidentali.

Ultima Thule: Lega delle democrazie, Passaggio a Nord-est e geo-diritto

Nella geopolitica classica il movimento, i passaggi, gli accessi, le strade, le rotte sono elementi strategicamente determinanti. Il collegamento tra gli oceani Atlantico e Pacifico, con il passaggio a Nord-Ovest, determinerebbe la possibilità della completa circumnavigazione dell’Heartland. Un corridoio diretto tra Arcangelo e Vladivostok rimodellerebbe le influenze geopolitiche globali. Il controllo degli stretti artici, se liberati dai ghiacci, che rendono ancora oggi impossibile un ordinario transito delle merci, diventerebbero ben più importanti di quelli del Mar Cinese Meridionale o degli stretti delle Filippine. Nel quadro classico, il completo dispiegamento del controllo delle potenzialità marittime segnerebbe anche la saturazione dello spazio fisico e il passaggio elle geopolitiche virtuali dell’aria e del digitale.

Al tentativo di egemonia geopolitica di stampo neo mackinderiano della Cina, basato sull’asse con Mosca e sulle iniziative della “Belt and road”, risponde la nuova Amministrazione di Washington con la proposta della “Lega delle democrazie” avanzata al G7 di Falmouth, in Cornovaglia, aperto a Corea del Sud, India, Australia e Sud Africa. Questa proposta, di ascendenza Spykmaniana, muove dalla considerazione che il controllo della cintura marittima è necessario per esercitare egemonia sul perno terrestre basato sull’asse Sino-Russo. L’obbiettivo è quello di consentire al modello di gestione del capitalismo occidentale, “Lega delle democrazie”, di assicurarsi gli standard globali, (che garantiscono i diritti individuali secondo i livelli delle società occidentali, o quella parte dei diritti che i poteri pubblici riescono a trattare con il capitale, sulle reti infrastrutturali, tecnologiche e digitali) e i livelli minimi di redistribuzione del capitale, di cui la “Global minimum tax,” del 15%, che rappresenta un primo tassello, nella competizione territoriale. Il progetto della Lega delle democrazie consente all’Occidente e soprattutto al suo Paese guida, gli USA, di delineare una prima risposta organica che tenga conto della fine della “Guerra fredda” e della centralità euro-atlantica del mondo bipolare, senza frantumare lo scacchiere o marginalizzare l’Europa, spostando esclusivamente il fuoco nell’Indo-pacifico, secondo uno schema che vede nel governo della cintura esterna marittima la possibilità di esercitare il contenimento dell’Heartland. In questo progetto, ancora da definire nei suoi contenuti strumentali, vanno però segnalati due possibili elementi di debolezza. Il primo di ordine concettuale, si usa il termine “democrazia” come sinonimo di “liberal democrazia”. Democrazia non è sinonimo di libertà. Fenomeni di cesarismo sono sempre stati presenti nei regimi democratici. La maggior parte dei totalitarismi del XX secolo, e non mancano esempi nel XXI, furono costituiti attraverso le procedure democratiche, alcuni di quelli attuali che gravitano nei confini dell’Occidente, come la Turchia e per alcuni versi, l’Ungheria, sono pudicamente definite “democrature”. Il tema riguarda le libertà politiche e i diritti soggettivi delle persone. Sarebbe opportuno definire con migliore chiarezza il profilo delle libertà come standard della “Lega delle democrazie”. Il secondo elemento attiene ai partecipanti, o meglio a chi non è stato invitato a prendere parte al G7. L’assenza dello Stato di Israele rappresenta un doppio errore. Lascia fuori una democrazia pienamente coinvolta ed amica dell’Occidente e sguarnisce, sul fonte geopolitico, un’area estremamente importate non solo nel sottosistema regionale del “Medio Oriente”, ma che costituisce anche un tassello avanzato del confronto autocrazie-democrazie, con la presenza sempre più strutturata della Russia in Siria (vedi base per cacciabombardieri russi) e il consolidarsi di relazioni sempre più forti tra Pechino-Mosca-Teheran. Nella dinamica delle turbolenze non va trascurato il ruolo della Turchia, pur formalmente parte della NATO, che rappresenta una minaccia diretta per i popoli dell’area ed una capacità di destabilizzazione dell’area anatolica e turcofana oltre che del mediterraneo orientale e meridionale. La presenza di Israele potrebbe funzionare da reciproca assicurazione tra partener che condividono valori reciproci.

Nelle intensità polarizzanti del nostro tempo, la politica si articolerà sempre più sulle divaricanti dicotomie tra la spazialità della dislocazione dei corpi e la temporalità delle loro esperienze. La cruciale compresenza di culture, forme-di-vita nel contesto della globalizzazione, non rimandano solo a ipotesi di “meticciato”, “assimilazione”, “sincretismi”, ma mettono in tensione la regolarità della politica, nella sua forma della modernità, come tensione bipolare “amico-nemico”.

Il passaggio è arduo, perché in questa trama complessa viene in questione il fondamento identitario che aveva garantito il mito politico della legittimità politica dello Stato attraverso il concetto di nazione. Il popolo aveva perso la sua neutralità ed era stato rivestito con il totem identitario di nazione. Anche nelle sue forme di mobilitazioni estreme non si ha più “il popolo in armi”, ma la “nazione in armi”. Mentre dall’altro versante, viene in questione il patto hobbesiano, lo scambio protezione assoggettamento, che per essere esperito richiede l’esclusività territoriale. La crisi dei modelli di integrazione della cittadinanza praticata in Occidente investe sia l’universalismo identitario di matrice repubblicana, rappresentato dalla cittadinanza come spazio universale e indifferenziato, sia il multiculturalismo, che concepisce la dimensione pubblica come luogo in cui ogni differenza si presenta con i suoi caratteri specifici: coscienze insulari, monadi intrappolate nelle loro capsule temporali dei miti fondativi, culla di tutti i fondamentalismi. Le incomunicabilità tra le identità, che pur insistono sullo stesso spazio pubblico, sono dovute proprie a quello scarto temporale che ogni monade vive come continuo permanere del tempo mitico della sua costituzione. Le varie identità vivono lo stesso spazio, ma su piani temporali diversi: il loro tempo manca del divenire. Le identità non si possono annullare, ma si possono contestualizzare, permettendo al tempo di riannodare i diversi piani. L’identità vissuta attraverso la trama del tempo, la sua storia, permette alle forme-di-vita di dispiegarsi nella contemporaneità, appunto di di-venire, a fianco e intrecciandosi con altre forme-di-vita.

In questi nuovi paesaggi della post-statualità riemergono sostrati, di forme tradizionali di quelle “potestas indirectae” che precedettero la formazione degli Stati moderni e che furono progressivamente neutralizzate dal Leviatano: leghe e compagnie, ordini religiosi e università. Ma il riemergere di queste nuove forme di diritto, in contesti spazio temporali inediti e in assenza di dinamiche politiche capaci di darne disciplina, possono sfociare in esiti illiberali, corporativistici o populistici. Il superamento dell’esclusivismo territoriale della logica identitaria si situa sul crinale del passaggio dalla “modernità-nazione” alla “modernità-mondo”. La dimensione globale avvia il processo del doppio movimento della contaminazione e della differenziazione. Il processo di globalizzazione e le sue contro-risposte hanno fatto riemergere il protagonismo dei “Grandi spazi”, mentre la crisi congiunta di Stato e Nazione evocano la necessità di nuove forme di geo-diritto sia sul versante dei “commons”, ovvero dei beni comuni intesi come spazio relazionale comune, sia dei diritti soggettivi, delle “potestà indirette” e delle autonomie sociali e funzionali. I Grandi spazi sottendono modelli di globalizzazione differenti: Americano quello Individualistico-competitivo, con conflitto politico governato; Cinese-Russo (uso qui il termine Sino-Russo per intendere l’asse geopolitico neo-Mackinderiano) quello comunitario-gerarchizzato e autocratico. Il profilo del “Grande spazio” europeo oggi è osservabile solo in potenza. Per colmare il divario tra potenza e atto, per trasformare lo spazio europeo da entità economica-monetaria in soggetto politico, è necessario superare il cinismo politico che ha governato gli europei dal disincanto del crollo delle ideologie. Non basta la semplice dimensione giuridico amministrativa. Il soggetto politico deve far propria la politica come orizzonte di senso, capace di superare la forma di “modernità-nazione” per dare forma alla “modernità-mondo”.

Proprio l’Europa che ha fatto esperienza, all’inizio della modernità, delle guerre di religione, dei totalitarismi (come fase suprema dei nazionalismi), della guerra civile europea, della coppia dinamica conflittuale “Terra e Mare”, dell’avere in comune le somiglianti differenze delle sue città mondo (come Roma, Parigi, Londra, Barcellona, Amburgo) può ricostruire il “mito politico” capace di ridare l’orizzonte di senso all’agire individuale e collettivo. Può proporsi come medium di comunicazione fra le generazioni e le identità per sfuggire alla morsa delle polarità neutralizzanti che soffocano lo spazio politico: il potere tecno-finanziario e il potere dei totalitarismi e dei movimenti identitari. Il profilo giuridico del Grande spazio europeo, come messa in forma della “modernità-mondo” è esso stesso il futuro dell’America, mito della frontiera, capace di ibridare il modello individualistico-competitivo della globalizzazione con un Framework di regole a garanzia di un nuovo umanesimo.

Il potere globale continua a reggersi sull’endiade: disincanto e miti identitari. Ma noi non possiamo “adagiarci lungo le correnti della storia, ma disporci contro corrente aprendo varchi e indicando strade, che senza di essa, sarebbero nascoste o invisibili.”[27]


[1] I Paesi del G7 sono: USA, Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito

[2] Comunicato del Briefing del Parlamento Europeo

[3] Santo Mazzarini, Fra Oriente e Occidente, Bollati Boringhieri, 2007

[4] Ernest Junger, Carl Schmitt: Il nodo di Gordio, Dialogo su Oriente e Occidente nella storia del mondo

[5] Carl Schmitt: Terra e Mare, Giuffré, 1986

[6] Eschilo, I Persiani, Tutte le tragedie, Bompiani, 2011

[7] Erodoto, Le Storie, libro VIII, cap 77: “Ma quando uniranno con un ponte di barche la sacra spiaggia di Artemide dalla spada d’oro […] la divina Dike estinguerà il possente Koros, figlio di Hybris, […] il bronzo si scontrerà con il bronzo […] arrosserà di sangue il mare. Allora Zeus dall’ampio sguardo e la veneranda Nike porteranno alla Grecia il giorno della libertà”

[8] Il trattato di Tordesillas del 7 giugno 1494 divise il mondo al di fuori dell’Europa in un duopolio esclusivo tra l’impero spagnolo e l’impero portoghese lungo il meridiano nord sud, 370 leghe (1770 Km) a ovest delle Isole di Capo Verde. Il meridiano che segnava la divisione era detto raya e corrisponde all’incirca 46°37’. Le terre ad est di questa linea sarebbero appartenute al Portogallo e quelle ad ovest alla Spagna. Il trattato, con qualche aggiustamento, venne sancito da papa Giulio II con una nuova bolla “Ea quae pro bono pacis” del 24 gennaio 1506. Con questo trattato le scoperte americane andarono alla Spagna, mentre il Brasile scoperto nel 1500 andò al Portogallo. Con questo trattato di fatto furono estromesse tutte le altre nazioni europee che conducevano esplorazioni come Francia, Inghilterra e Paesi Bassi, che anche per questi motivi diedero avvio alla pirateria.

[9] Alberigo Gentili, nato a San Ginesio il 14 gennaio 1552, morto a Londra il 19 giugno 1608. Giurista italiano, ottenne il titolo di Regius professor di diritto civile all’Università di Oxford. Considerato uno dei pionieri della giurisprudenza internazionale, denuncio con lucidità il passaggio secolare che investiva il mondo europeo con la famosa invettiva.

[10] La pace di Vestfalia indica i due trattati che nel 1648 posero fine alle guerre di religione. Sul piano politico segnò un ulteriore indebolimento del sistema politico sociale del Sacro romano impero. Confermò il principio “cuius regio eius religio” (la religione sia quella di colui cui appartiene la regione). Il nuovo ordine internazionale venutosi a creare all’indomani di questo avvenimento ha posto le basi per la creazione dello Stato moderno e dell’ordine internazionale ancora oggi dominante: la non ingerenza negli affari interni agli stati. Con quei trattati ciascun firmatario si sarebbe impegnato a rispettare i diritti territoriali degli altri stati firmatari, astenendosi dall’intervenire nei loro affari interni.

[11] Anche qui si assiste alla secolarizzazione del tema biblico della  Genesi, dove il creatore porta all’essere il creato attraverso la parola e consegna anche all’uomo questo potere di nominare tutte le creature che popolano la terra.

[12] “… e dagli elementi discordanti [nasce] bellissima armonia” Eraclito, Frammenti.

[13] James S. Romm, Dove finisce il mondo, Jouvence, 1999

[14] David Harvey, Geografia del dominio. Capitalismo e produzione dello spazio, Ombre Corte, 2018

[15] Il termine topologia offre un vasto spettro semantico di significati a seconda del contesto in cui viene utilizzato. Etimologicamente la parola è composta da “topos” luogo e “logos” discorso. Potremmo dire discorso intorno alle forme di organizzazione spaziale, alla disposizione di elementi specifici nello spazio, alle forme e alle proprietà da essi incarnati. Una prima accezione contigua alla geografia fisica indica lo studio delle caratteristiche specifiche di un territorio al fine di proporre una individuazione e una classificazione di diverse tipologie. Nel corso del novecento il termine è stato scandagliato in ambito sociologico e filosofico: si pensi al concetto di luogo in Heidegger, a Merleau-Ponty e al suo modello topologico dell’essere, allo strutturalismo, a Deleuze e Guattari. Si pensi ai tentativi di geo-filosofia come incontro creativo tra geografia, topologia e filosofia, una deterritorializzazione, capace di rendere instabili quei sistemi che pretendono di essere inglobanti e globali. I suggerimenti concettuali legati alla topologia utilizzati in geografia trovano snodi terminologici chiave intorno ai temi di limite, estensione, continuità, connessione, coerenza. La geografia economica utilizza il termine nello studio della organizzazione degli spazi di connessione, applicando i concetti di network e di rete alle dinamiche territoriali e, in particolare, delle nuove forme di concezione dello spazio legate al mondo virtuale.

[16] Andrew Glyn, Il Capitalismo scatenato. Globalizzazione, competitività e welfare, Francesco Brioschi editore, 2007. Analisi dell’attuale forma del capitalismo come ideologia dominante e modello di crescita nei paesi più ricchi e industrializzati. La libera impresa è oggi sciolta da ogni laccio, pervicacemente a caccia di nuove opportunità di profitto in tutto il globo, dalle prigioni statunitensi fino alle fabbriche che sfruttano i lavoratori in Asia. L’analisi punta a chiarire il rapporto tra ruolo del mercato, logica del profitto e crescita economica. Il rapporto logico spaziale tra logica del profitto, apertura e chiusura dei mercati, vincoli geopolitici e le dinamiche del Welfare.

[17] Giovanni Gentile, in Ugo Spirito, Scienza e filosofia, Firenze, 1950, p. 280

[18] Shoshana Zubof, Il Capitalismo della sorveglianza. Il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri, edizioni LUISS, 2019

[19] Alessandro Corneli, L’Era del Pacifico. Dinamismo economico e conflittualità politica, Edizioni del Sole 24 ore, 1988. L’analisi puntava a definire i nuovi fuochi del dinamismo agli albori della globalizzazione. L’area Asia-Pacifico dove si affacciavano le principali potenze dell’epoca: Stati Uniti, Cina, Giappone, L’Unione sovietica. Prima il Giappone, successivamente le quattro o cinque “tigri asiatiche” con i loro tassi di sviluppo e le loro politiche aggressive stavano modificando i rapporti commercia internazionali, ponendo una precisa sfida agli Stati Uniti e all’Europa occidentale. Il saggio offre una sintesi di carattere storico, politico, economico e strategico dei paesi del bacino del Pacifico che consente una rapida ricostruzione delle dinamiche di quell’area agli albori della globalizzazione.

[20] Nel 1904 Mackinder nel suo articolo “The Geographical pivot of History” apparso sul Geographical Journal, sviluppò la sua teoria sulle relazioni tra storia e geografia ed espresse la sua visione sull’ordine internazionale del XX secolo. In questo articolo il perno, o cuore, del mondo corrisponde all’Eurasia: “Questa vasta regione eurasiatica inaccessibile alle navi, che nell’antichità era aperta ai cavalieri nomadi e che oggi sta per coprirsi con una rete ferroviaria, non è forse la regione-perno della nuova politica mondiale?”. Nella visione di Mackinder, l’Heartland – cuore del mondo – esprimeva egemonia sull’area costiera, detta mezzaluna interna o marginale, composta dall’Europa, Turchia, Persia, India e Cina. L’anello esterno era composto dalle Americhe e dalle isole avanzate Inghilterra e Giappone. L’evoluzione della storia mondiale dipende dal rapporto di forze tra il perno centrale e l’anello esterno. Spykman ribalta il concetto di Mackinder. Si fa difensore dell’esistenza di un Rimland, regione intermedia tra lo Heartland e i mari circostanti. Il suo slogan sarà: “Chi domina il Rimland domina l’Eurasia; chi domina l’Eurasia ha nelle sue mani il destino del mondo”. Nel dopoguerra la teoria sviluppata da Spykman dell’anello marittimo contenente la potenza continentale avrà una grande influenza sull’elaborazione della politica estera americana. La strategia del contenimento (containment) usata dagli Stati Uniti durante la guerra fredda si basava sulla coesione politica del Rimland (Stati Uniti, Europa Occidentale, Asia Insulare) doveva frenare le mire espansioniste dello Heartland (il blocco Sovietico).

[21] Il 29 novembre 2017 fu aperto il primo collegamento ferroviario tra Mortara (Pavia, Italia) e Chengdu (Cina), i 10.800 Km, sono coperti in 18 giorni. Il Treno attraversa l’Austria, la Repubblica Ceca, la Polonia, la Biellorussia, la Russia, il Kazakistan e arriva in Cina.

[22] Alessandro Aresu, Le potenze del capitalismo politico. Stati Uniti e Cina. L’analisi spazia sull’intreccio tra mercato e sicurezza nei grandi spazi. Come nella fase attuale si combinano le logiche del capitale e le logiche della potenza. Come si costruisce l’equilibrio tra le logiche dell’espansione e dell’accumulazione del capitale e quello politico del Partito comunista cinese e dell’Amministrazione americana e dei suoi apparati di difesa e sicurezza nazionale. Interessante è il profilarsi delle nuove forme di conflitti di geo-diritto. Le nuove forme del conflitto nel campo giuridico e della tecnologia combattute attraverso l’uso delle sanzioni, il ruolo delle agenzie internazionali e i loro condizionamenti politici, blocchi o facilitazioni agli investimenti esteri.

[23] Karl Haushofer (1869-1946), colonnello dell’esercito tedesco, lasciò l’esercito alla fine della prima Guerra Mondiale per dedicarsi allo studio della Geopolitica. Secondo la sua visione la Geopolitica è “lo studio delle grandi connessioni vitali dell’uomo contemporaneo nel suo spazio …. Il fine ella Gepolitica sarebbe dunque la restaurazione della grandezza della Germania …, uno strumento al servizio della lotta per lo spazio vitale.  Lo Stato vive con l’ambizione di vedere i propri territori estendersi …. Sono gli Stati deboli, … in linea di massima favorevoli … all’immutabilità delle frontiere

[24] Thomas Piketty, Diseguaglianze, Egea, 2003

[25] Parag Khanna, Il movimento nel mondo. Le forze che si stanno sradicando e plasmeranno il destino dell’umanità. Fazi Editore, 2021

[26] Secondo l’International Data Corporation (IDC), un miliardo e mezzo circa di lavoratori mobili può svolgere tranquillamente il proprio lavoro da casa, quasi il 40% della forza lavoro globale.

[27] Giacomo Marramao: Dopo il leviatano, Bollati Boringhieri, 2013

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