28 maggio 2015

La Terra tra la teologia-politica dell’Anima, la Geoeconomia e il Welfare della Guerra

Le miliziane e i miliziani curdi in difesa di Kobane fanno riemergere fossili antropologici che risplendono nell’aurea del martirio  forze telluriche che contrastano l’orrore dell’annientamento perpetrato dalle milizie del Califfato del Levante, orda teologico-politica contemporaneamente pre e post moderna. Figure di combattenti primordiali, tenacemente sopravvissuti sia allo spaesante avvento delle modernizzanti statuazioni post coloniali, ammantate di neutralizzanti nazionalismi, sia al nientificante avvento delle moderne ondate della globalizzazione.

Nei pochi mesi che ci separano dall’esplosione delle Primavere Arabe, salutate come l’inizio della normalizzazione delle ultime enclave non secolarizzate dello spazio e delle antropologie del moderno, la trama spazio temporale del mondo globalizzato è stata profondamente lacerata. La  spazialità uniforme ed indifferente,  nel tempo lineare del calcolo economico, dove ogni politica estera si riduce a “politica interna mondiale” in cui la guerra è stata abolita, e le azioni militari sono sempre azioni di ordine pubblico, di ripristino della legalità e della pace ( peacekeeping)  si contrappongono nuove soggettività riemerse in questa nuova dimensione spazio-temporale che riannoda arcaiche antropologie che fanno rivivere in modo sinistro le considerazioni di sir Henry Maine “ War appears to be as old as mankind, but peace is a moder invention”.

Il tentativo di organizzazione geopolitica degli spazi teologici:

Il sistema Wesphaliano, o dell’equilibrio delle potenze, è stato il tentativo più potente di dare ordine allo spazio messo in campo dall’Occidente. Per oltre quattro secoli questo l’imperativo ha governato le relazioni tra gli Stati e ha rappresentato la grammatica di base per la lettura e l’organizzazione razionale degli spazi antropizzati ed economicamente rilevanti.

Così l L’Europa della modernizzazione,  dei secoli 18° e 19°, della messa in forma razionale dello spazio, del conto economico, dello sviluppo tecno-scientifico,  potenza globale dominante, imponeva la sua razionale organizzazione degli spazi secondo le rispettive sfere d’influenza.

Il luogo dove oggi con maggiore nitidezza, è possibile cogliere gli scarti e le trame delle diverse visione dell’organizzazione simbolica ed istituzionale degli spazi antropizzati che non collimano con la narrazione della “zivilitation” è il quadrante mediorientale.

In questi luoghi la potenza uniformante dell’occidente ha subito e continua a subire, inciampi.

Lo smembramento del “grande malato d’Europa”

Nel corso della Grande Guerra, sulle spoglie dell’impero ottomano: “il  grande malato d’Europa” , le  potenze coloniali francese e britannica disegnarono la nuova mappa geopolitica del Medio Oriente nei confini ancora oggi conosciuti. La nuova carta geografica frutto degli equilibri del dopoguerra definisce le  nuove sfere d’influenza attraverso  i diversi accordi e trattati imposti da Francia e Regno Unito: l’accordo Sykes-Picot (1916), la Dichiarazione Balfour (1917), la Conferenza di Pace (1919), il trattato di Sevres (1920) e il Trattato di Losanna (1923). Francesi e britannici ridisegnarono i confini interni ed esterni delle province arabe dell’Impero ottomano, come proiezione dei loro interessi interni.

l’accordo Sykes-Picot (1916)

Il primo accordo tra le potenze coloniali sul futuro delle province arabe dell’Impero Ottomano, fu quello Sykes-Picot, che venne concluso da Francia e Regno Unito, tra Sir Mark Sykes e François Georges-Picot, il 16 maggio 1916. L’accordo prevedeva la frantumazione del Levante e della Mesopotamia, in particolare dello spazio tra Mar Nero, Mar Mediterraneo, Mar Rosso, Oceano Indiano e Mar Caspio, allora parte dell’Impero ottomano.  
Secondo questo accordo, il Levante e la Mesopotamia, sarebbero stati divisi in cinque zone:

  1. Zona di amministrazione diretta francese formata dall’attuale Libano e dalla Cilicia;
  2. Zona araba A, d’influenza francese nel nord della Siria e nella provincia di Mosul;
  3. Zona di amministrazione diretta inglese formata da Kuweit e dalla Mesopotamia;
  4. Zona araba B, d’influenza britannica, comprendente Siria meridionale, Giordania e il futuro mandato della Palestina;
  5. Zone d’amministrazione internazionale, comprendente San Giovanni d’Acri, Haifa e Gerusalemme. Il Regno Unito otterrà il controllo dei porti di Haifa e di Acri .  

Il doppio sguardo dell’Occidente  “Zivilitation” versus “autodeterminazione”

Gli Stati Uniti guidati da Woodrow Wilson, alfieri dell’autodeterminazione dei popoli, non parteciparono alle delegazioni Sykes-Picot. La posizione dell’Amministrazione Wilson sull’assetto geopolitico del mondo all’indomani della Grande Guerra, espressa in 14 punti, fu portata l’8 Gennaio 1918 davanti al Congresso degli Stati Uniti. Il dodicesimo punto indicava la posizione sulla divisione dell’Impero Ottomano: “Alle regioni turche dell’impero ottomano, dovrebbe essere garantita la sovranità e la sicurezza, ma per le altre nazioni che sono ora sotto il dominio turco, dovrebbe essere garantita la sicurezza assoluta della vita e la piena opportunità di svilupparsi autonomamente; riguardo allo stretto dei Dardanelli,  dovrebbe rimanere sempre aperto, per consentire il libero passaggio alle navi e al commercio di tutte le nazioni, sotto delle garanzie internazionali.”

Mentre le Potenze Europee si mantenevano all’interno dell’orizzonte politico-culturale della Conferenza di Berlino del 1884 con la quale si sancì la spartizione dell’Africa. La posizione degli Stati Uniti di fronte ai progetti di suddivisione del Levante, alla vigilia della Conferenza di Pace (1919), si presentava in modo più articolata. Il Presidente Americano Woodrow Wilson agiva ispirandosi ad una visione che tentava di coniugare la spinta, “liberatrice” degli Stati Uniti, o dalla “buona volontà” e dal “libero arbitrio” con il nuovo realismo politico della emergente potenza globale. Il nuovo assetto doveva tenere conto del nuovo equilibrio tra le potenze occidentali vincitrici del conflitto grazie al soccorso americano. La trama del dispiegarsi della “Zilititation” dovrà da adesso in poi tener conto della declinazione “Atlantica” del processo di modernizzazione.  I trattati ancora improntati dai principi della dottrina europea non rifiutarono completamente le pressioni americane. Le potenze occupanti britannica e francese riconobbero la sovranità delle regioni turche dell’Impero.  Nelle regioni arabe, i principi della  “sicurezza assoluta della vita e la piena possibilità di svilupparsi autonomamente.”  furono assicurati attraverso un periodo di protettorato coloniale che avrebbe progressivamente assicurato la loro indipendenza.

Terra e mare nel XX secolo: Elementi di geopolitica Westphaliana
Lo scenario internazionale, all’indomani della Grande guerra è  cambiato profondamente. Dal grembo del primo conflitto a scala mondiale nel corpus dell’equilibrio eurocentrico scaturiscono le prime crepe che lasciano intravvedere i segni di un nuovo assetto contraddistinto da una nuova potenza marittima costruita sull’asse atlantico del nord a guida americana e la terra dei “Soviet” che diventerà il nuovo impero terraneo.  Nel campo occidentale gli Stati Uniti, rivendicavano il loro ruolo nell’organizzazione dei nuovi assetti globali, le  potenze declinanti (Francia e Regno Unito) si stavano preparando a una soluzione globale del Medio Oriente, secondo il modello applicato in Africa. Gli Stati Uniti ottennero che le province arabe dell’Impero ottomano  sotto occupazione fossero indirettamente controllate dalla Lega delle Nazioni. In base a questa determinazione  un nuovo sistema giuridico venne introdotto gradualmente. La Società delle Nazioni organizzò, nel contesto di un comitato, una consultazione delle popolazioni interessate. La Commissione d’inchiesta King-Crane  venne inviata nel 1919 in Palestina, Libano, Siria e Cilicia per indagare sui desideri dei popoli circa il loro futuro. Anche in Iraq gli inglesi lanciarono una consultazione pubblica tra dicembre 1918 e gennaio 1919. Francia e Inghilterra percependo che la situazione gli sfuggiva lasciarono il comitato e imposero ai territori interessati nuove frontiere, come venne specificato dall’accordo Sykes-Picot. La Lega delle Nazioni gli affidò, nel 1920, un mandato sulle province arabe dell’Impero Ottomano, che doveva portare rapidamente, almeno in teoria, all’indipendenza dei due territori. Nel marzo 1920 il Congresso Nazionale siriano, eletto nel 1919, aveva rifiutato il mandato francese e proclamò unilateralmente l’indipendenza del paese. Nell’aprile 1920 la conferenza di San Remo confermò l’accordo Sykes-Picot e legittimò l’intervento militare francese. Le truppe del generale Gouraud entrarono a Damasco a luglio.

L’intervento armato decretò il crollo del “grande progetto arabo” di raccogliere attorno a Damasco le province arabe già facenti parte dell’Impero Ottomano.  Dalla suddivisione della province arabe, furono tracciati i confini dei nuovi Stati: Iraq, Giordania, Kuwait, Libano, Palestina.

La modernizzazione versus l’homo sovieticus

Anche il tentativo di modernizzazione del secondo dopoguerra degli anni Cinquanta e Sessanta si sviluppa all’interno di uno schema wesphaliano, in un quadro mondiale dove al vecchio equilibrio europeo si va sostituendo l’equilibrio mondiale “bipolare”. La nuova revisione porta a due eventi principali:

1) la caduta delle monarchie create dall’imperialismo francese e britannico all’indomani della Grande Guerra, la monarchia di Idris I di Libia (1951-1969), il Regno d’Egitto  (1922-1953), il Regno d’Iraq (1921-1958), la monarchia dello Yemen (1918-1962),

2) l’indipendenza delle colonie francesi e inglesi in Africa del Nord e Medio Oriente.

1978. Camp David l’ultimo tentativo di manutenzione degli spazi mediorientali nell’equilibrio bipolare

L’area Medio-orientale riorganizzata secondo i principi westphaliani all’indomani della Grande Guerra subisce una prima revisione dopo la Seconda Guerra Mondiale, negli anni Cinquanta e Sessanta. Il nuovo assetto fu caratterizzato principali:

  1. la caduta delle monarchie create dall’imperialismo francese e britannico all’indomani della Grande Guerra, la monarchia di Idris I di Libia (1951-1969), il Regno d’Egitto  (1922-1953), il Regno d’Iraq (1921-1958), la monarchia dello Yemen (1918-1962) e
  2. l’indipendenza delle colonie francesi e inglesi in Africa del Nord e Medio Oriente.

La seconda revisione porta il sigillo dell’ordine di Camp David, del 1978 a seguito della guerra dell’ottobre 1973. Per tre decenni, Mubarak, Saddam, gli emiri e i sultani della penisola arabica, si imposero come garanti della stabilità e interlocutori dell’occidente.

I due assi belligeranti in Medio Oriente elementi di geopolitica post Westphaliana

Lo sguardo dissonante sulle “primavere arabe”

Con la caduta dell’ordine bipolare e le successive ondate della globalizzazione, o meglio dell’occidentalizzazione degli spazi, la grande area arabo-mussulmana delimitata dai monti dell’Atlante, Mar Nero, Mar Caspio, Oceano Indiano, Mar Rosso è percorsa da una profonda spinta al cambiamento. I tentativi di modernizzazione della seconda metà del secolo scorso si sono ossificati in regimi retti da clan sempre più isolati dalle aspettative delle rispettive popolazioni. Le elite giunte al potere con le promesse benessere e sviluppo delle arcaiche società, sponsorizzate da Washington e Mosca, si sono trasformate in caste corrotte e scollegate dai bisogni delle masse, il dividendo del petrolio non diventa un volano dello sviluppo ma un potente alimento delle diseguaglianze. La modernizzazione occidentale e vista dalle moltitudini come corrompimento dei legami tradizionali e impoverimento dell’individuo, costretto a muoversi nello spazio della razionalità economica senza le reti di protezione comunitaria. In questo contesto il richiamo idenditario e i legami comunitari garantiti dalla tradizione religiosa rimangono  le forze telluriche di  unificazione.

La primavera araba è profondamente segnata de queste spinte contraddittorie, da una parte il richiamo modernizzante dell’occidente delle elite scolarizzate, capaci di orientare i circuiti della comunicazione mondiale, che si rivoltano contro la corruzione  e il tradimento delle promesse della  modernizzazione, per contro un sentimento popolare ancestrale che vede nella richiesta di occidentalizzazione un tradimento dei propri valori e un cedimento all’occidente.

Questo’ampio spazio geopolitico è agito e spinto da logiche e capacità di lettura degli avvenimenti dissonanti.  Gran parte delle potenze e della diplomazia occidentale e parte delle stesse classi dirigenti locali si muovono nell’ambito degli schemi classici delle relazioni estere, codificati dalla modellistica della cultura dell’equilibrio Wesphaliano. Altre forze in campo sfuggono a questa logica. La prima rottura del monopolio wesphaliano nell’organizzazione delle relazioni internazionali può essere fissato con l’attentato dell’11 settembre e la successiva offensiva contro gli Stati Canaglia. La stessa teoria dell’esportazione della democrazia di stampo “neocons”, con vaghi riverberi Wilsoniani, allude al tentativo americano di incardinare le nuove relazioni internazionali su paradigmi valoriali che superano la fredda logica dell’equilibrio.
Sotto la presidenza di Mohmud Ahmadinejad ( 2005 – 2013)  l’Iran spinge per affermarsi come potenza regionale egemone in grado di riorganizzare gli spazi del Levante e della Mesopotania: la grande area delimitata dal Mar Nero, Mar Mediterraneo, Mar Rosso, Oceano Indiano, Mar Caspio.  Il criterio di riorganizzazione spaziale è squisitamente teologico-politico, tutte le considerazioni nazionaliste e statuali sono spazzate via sotto l’urgenza della costruzione della “mezzaluna sciita”. Si lavora al consolidamento dell’arco sciita costituito dall’Iran a est al Libano ad ovest, attraversando l’Iraq e la Siria.

Questo nuovo assetto del Medio Oriente si basa su tre paesi: Iran, Siria e Libano (ai quali  si aggiunge il governo Maliki in Iraq, dopo il ritiro delle truppe statunitensi). Il disegno è plasticamente descritto da Hassan Nasrallah, capo degli Hezbollah, quando descrive (dopo la seconda guerra del libano 2006),  il processo di riorganizzazione in corso come asse costituito da tre “corpi”: la spalla (Iran), il braccio (Siria) e il pugno (Libano). A questo asse, si contrappone un fronte costituito dall’Arabia Saudita, Giordania, emirati e sultanati della penisola arabica, dall’Egitto a sud , e dalla Turchia a nord.

L’insurrezione armata in Siria e l’improvvisa comparsa di gruppi islamici salafiti sulla scena degli eventi, non può essere compresa dal racconto di quei media, che leggono quella realtà ancora nel contesto “occidentalizzato delle primavere arabe”, ne secondo l’ottimistica vulgata dell’esportazione della democrazia.  Una lettura più attenta deve tener conto

  1. delle componenti etniche e religiose del paesaggio della Siria,
  2. delle condizioni storiche della nascita di nuovi stati in Medio Oriente, dopo lo smembramento dell’impero ottomano nel 1918 ,
  3. del fallimento del tentativo di introdurre le forme della statualità  improntate al principio del “ rule of law”,
  4. dell’incapacità di tradurre in pratiche concrete le premesse delle modernizzazioni tentate nel all’indomani della Seconda guerra mondiale .

Spazi teologici e spazi economici geografie a confronto.

L’attuale mappa geopolitica del Medio Oriente nei confini ancora oggi conosciuti fu elaborata  nel pieno della Grande Guerra, frutto delle sfere d’influenza ratificati dai diversi accordi e trattati imposti da Francia e Regno Unito, le due grandi potenze coloniali del tempo; l’accordo Sykes-Picot (1916), la Dichiarazione Balfour (1917), la Conferenza di Pace (1919), il trattato di Sevres (1920) e il Trattato di Losanna (1923). Francesi e britannici ridisegnarono i confini interni ed esterni delle province arabe dell’Impero ottomano, come proiezione degli interessi interni.

Il testo dell’accordo sottoscritto dai governi Francesi e Inglesi il 16 maggio 1916 descrivono la visione economica dello spazio proprie della cultura ( westphaliana) delle potenze europee. La suddivisione dello spazio è classificata neutralmente come area a), sotto l’amministrazione Francese o area b) sotto l’amministrazione Inglese;  che al Regno unito sono concessi i porti di Haifa e San Giovanni d’Acri, è garantito lo sfruttamento delle acque dei fiumi Tigri ed Eufrate……. ( punto 4 del trattato)..; che Alessandretta sarà un porto aperto… (punto 5)… che la ferrovia di Bagdad nell’area a) ( Francese) non verrà estesa verso sud oltre Mosul e nell’area b) ( Inglese) verso nord oltre Samara……. ( punto 6)… Che il Regno Unito ha il diritto di costruire una ferrovia che collega Haifa con l’are b)… ( punto 7)… Lo spazio è antropologicamente e simbolicamente vuoto, contraddistinto da approdi e rotte commerciali, i confini sono semplici delimitazioni spaziali.

Già la Dichiarazione Balfur (1917) aveva introdotto  la prima pietra d’inciampo nella messa in forma dello spazio medioorientale. L’homelad, il focolare offerto agli ebrei radicherà in quel territorio un elemento teologico-politico irriducibile alla normalizzazione degli spazi.

I rivolgimenti indotti dal fallimento delle modernizzazioni sperimentate dalle elites militari nel secondo dopoguerra ( Iraq, Siria, Egitto, Libia) segnano l’emergere di antropologie che rileggono in termini teologico-politico gli spazi ( Mussulmani versus Ebrei; Sunniti versu Sciiti; ecc.) segnando linee di confini inedite di inimicizia assoluta. La guerra come faida ancestrale definisce  l’interno e l’esterno della comunità che incarna e rende sacro  il territorio.

Guerra civile mondiale

L’11 settembre del 2001 il mondo viene gettato nel tempo della guerra civile mondiale. Nella risposta americana si avverte lo scarto, la guerra al terrore, la lista degli “stati canaglia”, la “coalizione dei volenterosi”, l’invasione dell’Afganistan, sono iniziative che si pongono oltre lo schema dei rapporti improntati dalla cultura dell’equilibrio di potenza. Quello scarto, presente soprattutto, nelle riflessioni di Donald Rumsfeld non è stato sistematizzato. Spaventato, dall’irruzione di uno spazio sconosciuto, popolato dall’anomia della globalizzazione ma anche da figure dell’orrore ti un tempo arcaico che si proietta nel futuro, l’Occidente si è rifugiato nei riti conosciuti. La tematizzazione del tempo della guerra civile mondiale, delle nuove figure dei combattenti: miliziani, jihadisti, mujahidin, foreign fighters terroristi, militari, milizie private, ecc; dei nuovi mezzi: la cyber warfare, le armi intelligenti, i droni; le forme: alle forme classiche che prevedevano come nemico uno stato essendo la guerra possibile solo tra Stati.

Dopo il tramonto dello “Jus publicum europaeum” l’Occidente ha continuato a guardare il mondo con lenti smerigliate da mole westphaliane attraverso le quali lo spazio diventa uniforme ed è organizzato dalle delimitazioni del “Nomos” territorializzato. Nella sua marcia espansiva l’Europa ha organizzato gli spazi geografici che di volta in volta gli si spalancavano d’avanti in spazi delimitati e ordinati dal “nomos”. Sia la stagione dominata dalla spinta della “zivilitation” (colonialismo), sia quella dominata dai principi dell’autodeterminazione (colonialismo tecnico-economico), sia l’attuale tentativo di esportazione della democrazia sono costruiti secondo i principi dell’ordinamento interno dello spazio delimitato dettato dal “rule of law” e quelli westphaliani dell’equilibrio di potenze come regolatore dei rapporti esterni. Equilibrio sempre precario, soggetto all’anarchico calcolo di potenza, e precariamente ricostruito  attraverso la guerra. La guerra diventa l’elemento di correzione e ricostruzione dell’equilibrio. Diventando elemento prevedibile la guerra stessa va messa in forma.

Con l’Autorizzazione per l’uso delle forze armate degli Stati Uniti….  “contro le nazioni, organizzazioni e persone ….” ,  del Congresso degli Stati Uniti, il 18 settembre 2001 si ha prima certificazione formale del superamento dei principi westphaliani dei tentativi di messa in forma della Guerra. Il sistema internazionale occidentale aveva avvertito quello scarto e si cerco di mantenere l’iniziativa militare Statunitense all’interno dei binari classici. L’azione anche se  preventiva si scatenò contro soggetti classici dell’azione di guerra: Afghanistan ed Iraq. Nella dichiarazione del 18 settembre 2001 Bush individua come destinatari degli attacchi militari americani …. “Quelli che pianificano,autorizzano, commettono o aiutano gli attacchi dei terroristi contro Gli Stati Uniti e i suoi interessi – inclusi quelli che li nascondono – che minacciano la sicurezza nazionale degli Stati Uniti”. La promessa di punizione proferita dal Presidente non si fermava di fronte a nessuna frontiera, il Presidente era autorizzato ad agire contro nazioni straniere senza dichiarazioni di guerra.

Gli anni successi all’invasione dell’Afghanistan e dell’Iraq segnano un ripensamento. Si cerca di ricostruire il tessuto ormai logoro del “diritto internazionale di matrice westphaliana”.

La primavere arabe e l’esplosione dei conflitti teologici nell’area siro-irachena pongono la guerra oltre i principi regolatori degli schemi e delle convenzioni internazionali. La guerra cambia natura e scopi.

Nella richiesta di autorizzazione all’uso delle forze armate degli Stati Uniti indirizzata al Congresso Americano, il Presidente Obama, l’11 febbraio, 2015,  dichiara “ Il così detto Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (ISIL) pone una minaccia al popolo e alla stabilità dell’Iraq, la Siria e il più ampio Medio Oriente e la sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Minaccia il personale e i beni americani della regione ed è responsabile della  morte di cittadini americani… se lasciato incontrollato l’ISIL pone minacce oltre il Medio Oriente sullo stesso territorio degli Stati Uniti……

L’autorizzazione che io propongo serve a garantire la flessibilità per condurre le operazioni di combattimento sul terreno  in altre , più limitate circostanze, quali quelle come le operazioni di salvataggio che coinvolgono personale americano o alleato o l’uso di forze speciali per azioni contro la leadership dell’ISIL. ….”

Il Congresso ha autorizzato il Presidente Obama affinché ..”determini quanto necessario è appropriato contro l’ISIL o gli individui e le organizzazione che combattono per , o a nome di, o insieme all’ISIL o ogni entità successiva strettamente collegata ostile agli Stati Uniti o alla coalizione”.

Pur diversa nei toni le due autorizzazione del Congresso pongono il tema del superamento del concetto classico della Guerra.

Tema che viene sottolineato anche dallo svolgimento della crisi tra Ucraina e Russia che coinvolge direttamente l’Europa.

Nehmen, Teilen, Weiden  e il Welfare della Guerra

L’appropriazione, la distribuzione, la produzione, rappresentano i termini concetto che connotano la nascita della sintesi politica e si pone agli albori della comunità. E’ proprio dell’ancestrale battuta di caccia quella dell’azione del capocaccia che guida alla cattura della preda e che poi distribuisce le parti tra i partecipanti. In questa scena primordiale si è codificato il sorgere del politico, del capo che guida all’appropriazione e alla successiva distribuzione, e la nascita del gruppo. Successivamente con la parziale sedentarizzazione il termine “produzione” entra nel circuito della costituzione del politico.

Nel tempo delle lacerazioni delle trame della modernità sotto l’incalzare di un doppio movimento quello spaesante della uniformazione  tecnico-economica e la contro risposta che riporta in luce antropologie premoderne che reinterpretano in modo paradossale la formazione della sintesi politica e il suo sostentamento.

La guerra da elemento fondativo viene piegato ad elemento paliativo. La sua permanenza determina  lo stato di eccezione che garantisce alla sintesi politica dominante ( Fatah, Hamas,) il diritto alla “preda”, gli aiuti internazionali e la sua distribuzione.

La Questione Palestinese costituisce nel novero della geopolitica moderna il principale prodotto della distonia tra le “politiche dell’equilibrio” e i “ principi Wilsoniani” e le nuove logiche della “guerra civile mondiale”, Con la Costituzione dello Stato d’Israele e le  guerre Arabo-Israeliane e la conseguente occupazione Israeliana della Cisgiordania e della Striscia di Gaza si da origine alla “Questione Palestinese”

 I prodomi del Welfare militare

Col termine Striscia di Gaza si indica un territorio palestinese autonomo e autogovernato dal 2005. Si tratta di una regione costiera di 360 km² di superfice popolata da circa 1.645.500 abitanti di etnia araba Rivendicato dai Palestinesi , assieme alla Cisgiordania e a Gerusalemme Est, come parte dello Stato di Palestina, governato dal movimento di Hamas, è al contempo considerato Territorio  occupato da Israele per il controllo delle sue frontiere, al centro dunque del conflitto Israelo-Palestinese .  Dal 2012  l’ ONU riconosce formalmente la Striscia come parte dello Stato di Palestina, entità statale semi-autonoma. Quest’area non è riconosciuta internazionalmente come uno Stato sovrano, ma è reclamata dall’Autorità Palestinese come parte dei propri territori

Economia e Welfare militare

I principali partner commerciali della Striscia di Gaza sono Israele, Egitto, e la Cisgiordania. Prima della seconda rivolta palestinese scoppiata nel settembre 2000, circa 25.000 lavoratori dalla Striscia di Gaza, ogni giorno si recavano in Israele per lavoro. Da allora, la produzione economica nella Striscia di Gaza, anche per il persistente controllo dei confini, non è mai uscita dalla sussistenza, dalla marginalità. Gli aiuti internazionali anche se consistenti hanno dato luogo ad una estesa e sistematica corruzione  e cattiva gestione da parte dell’ANP. Il numero di residenti di Gaza che vive sotto la soglia di povertà costituisce circa  l’85% della popolazione. Fu proprio la lotta contro questi estesi fenomeni che permise ad Hamas nelle elezioni del 2006 conquistare la maggioranza contro Fatah, partito al governo. Lo scontro non era finalizzato alla moralizzazione della vita pubblica. Lo scontro culminato con la “battaglia di Gaza”, come ogni vera battaglia per il potere, aveva anche l’obbiettivo dell’appropriazione delle risorse garantite dagli aiuti internazionale per alimentare un proprio “welfare della guerra”. Israele, USA, Canada, e l’Unione Europea hanno congelato tutti i fondi al governo palestinese dopo la formazione di un governo controllato da Hamas, che ha vinto le elezioni legislative palestinesi del 2006. Infatti  Hamas è considerata dalle maggiori democrazie occidentali un’organizzazione terroristica.

Economia di guerra e welfare militare

Durante il controllo israeliano della Striscia di Gaza i coloni israeliani di Gush Katif  avevano costruito serre e sperimentato nuove forme di agricoltura. Le serre stesse occupavano centinaia di palestinesi di Gaza. Con il ritiro degli israeliani e lo sgombro delle colonie dalla Striscia di Gaza nell’estate del 2005, le serre furono acquistate con i fondi raccolti da ex Presidente della Banca mondiale, James Wolfensohn, e donate al popolo palestinese come base per iniziare la loro economia. Tuttavia, lo sforzo di miglioramento è stato limitato a causa della incapacità di attrezzare con gli aiuti internazionali la necessaria infrastrutturazione per la gestione dell’acqua e di una rete commerciale per la distribuzione dei prodotti. Anche a causa  della corruzione dilagante all’interno dell’Autorità palestinese. La maggior parte delle serre sono state saccheggiate o distrutte.

Con la ripresa dell’attività militare di Hamas nel 2008 e la risposta di Israele con l’operazione “piombo fuso”, lanciata nel dicembre 2008, furono distrutte fondamentali infrastrutture che alimentavano l’ordinario contrabbando. Il rifornimento dei prodotti di base è diminuito in maniera significativa dopo il bombardamento di decine di gallerie del contrabbando. Un sacco di farina è venduto per più di 200 NIS (circa 53 dollari), rispetto a 100 NIS (26,5 dollari) prima dell’avvio dell’operazione militare; i prezzi del carburante hanno subito la stessa sorte.

Con la presa del potere di Hamas sulla striscia di Gaza si assiste ad un’imprenditorializzazione dell’economia del contrabbando e dell’aiuto pubblico, della donazione. L’industria dei tunnel ha prosperato da quando Hamas ha assunto controllo della Striscia di Gaza, nell’estate del 2007, come mezzo per raccogliere fondi da parte dell’organizzazione in cambio di un buon profitto. Con l’Operazione Piombo Fuso e la distruzione di molte gallerie di contrabbando a Rafah, molti dei piccoli investitori nella Striscia sono caduti vittima di un investimento sbagliato, nel migliore dei casi, e di una grande truffa nel peggiore dei casi. Infatti, Gli abitanti di Rafah si sono preoccupati fin dall’inizio dell’operazione Piombo Fuso per il rallentamento economico che potrebbe derivare dai danni causati ai tunnel usati per il contrabbando di armi con l’Egitto. Le gallerie sono diventate, infatti, una fonte di prosperità per la città di Gaza negli ultimi due anni, e ora c’è grande preoccupazione che le future disposizioni in materia di sicurezza limitino il loro uso. Si valuta che il reddito creato grazie al contrabbando attraverso i tunnel era di circa 30 milioni di dollari l’anno fino al 2006 e ha raggiunto i 650 milioni dollari il primo anno in cui Hamas è salito al potere.

A seguito dell’offensiva israeliana a Gaza nel dicembre 2008, Hamas attraverso una nuova iniziativa mira ad utilizzare l’offerta di donatori nella Striscia di Gaza al fine di aumentare i fondi necessari per la sua ricostruzione. Diverse organizzazioni arabe e islamiche si sono impegnate per la ricostruzione della Striscia di Gaza, trascurando la conferenza dei donatori svoltasi a Sharm el-Sheikh, in Egitto, nel mese di febbraio. L’investimento dei fondi raccolti attraverso l’offerta pubblica, sarà effettuato solo dopo che il governo a Gaza – vale a dire quello di Hamas – verrà consultato. Nel gennaio 2009, a termine dell’offensiva israeliana a Gaza, circa 50 stazioni televisive in tutto il mondo arabo hanno unito le forze per una speciale trasmissione dedicata alla Striscia di Gaza, con l’obiettivo di raccogliere fondi. Il primo giorno della campagna sono stati raccolti circa mezzo miliardo di dollari da parte dei cittadini del mondo arabo, e dagli arabi e musulmani che vivono all’estero. Il denaro è stato depositato in conti bancari, aperti appositamente per questo scopo.

Breccia nel confine tra Striscia di Gaza e Egitto

 Il tentativo di controllare il contrabbando delle armi, principalmente quello dei razzi, o di suoi componenti, ha imposto nuove regole restrittive di controllo dei valichi e misure per bloccare i tunnel. Questo rischia di bloccare una delle principali arterie che alimentano di uno dei due polmoni dell’economia di Gaza, il contrabbando. La violazione del confine tra la Striscia di Gaza e l’Egitto del gennaio 2008, testimoniano come l’economia di sussistenza di Gaza sopravvive grazie agli aiuti internazionali e al contrabbando. Le Nazioni Unite stimano che circa la metà dei 1,5 milioni di abitanti della Striscia di Gaza hanno attraversato la frontiera in Egitto in cerca di cibo e di forniture.  L’Egitto aveva chiuso il Valico di Rafah, nel giugno 2007, pochi giorni prima che Hamas prendesse il controllo di Gaza. La violazione è seguita al blocco della Striscia di Gaza, iniziata con riduzioni di forniture del combustibile nell’ottobre 2007. Un blocco totale era cominciato il 17 gennaio 2008 a seguito di un aumento del lancio di razzi su Israele provenienti da Gaza.

L’economia dei  tunnel sotterranei

I tunnel sono stati scavati sotto la barriera che separa l’Egitto dalla Striscia di Gaza al fine di aggirare l’embargo e far entrare alimenti, medicinali e armi. La barriera attraversa il confine internazionale, lungo il Philadelphi Route, che è una zona cuscinetto lungo il confine creato dal trattato di pace tra Israele e Egitto. Il corridoio Philadelphia, come specificato negli accordi di Oslo, era sotto il controllo militare israeliano, al fine di rendere sicuro il confine con l’Egitto. Quando Israele si è ritirato dalla Striscia di Gaza nel 2005, il corridoio Philadelphia è stato posto sotto il controllo dell’ ANP. Poi, quando Hamas ha preso il controllo della Striscia di Gaza a seguito della Battaglia di Gaza ( 2007), il controllo del corridoio Philadelphia dal lato della Striscia di Gaza è finito sotto l’amministrazione di Hamas. Alla fine del 2009 l’Egitto ha avviato la costruzione di una barriera sotterranea in acciaio, con l’obiettivo di bloccare i tunnel esistenti e rendere più difficile la costruzione di nuove, poiché dovrebbe arrivare molto in profondità.

Rafah è situata al confine della Striscia di Gaza e l’Egitto. Grazie a questa posizione strategica, qui vengono costruiti i tunnel per il contrabbando. Questi tunnel sono stati e sono principalmente utilizzati da Hamas e dalle organizzazioni militanti palestinesi per portare viveri, vestiti, medicinali e armi provenienti dall’Egitto nella Striscia di Gaza. Le gallerie collegano la città egiziana di Rafah con il campo profughi palestinese di Rafah nella Striscia. Le gallerie sono state successivamente utilizzate per il passaggio di persone (dentro e fuori). Le gallerie sono normalmente scavate da imprese palestinesi e arrivano in profondità fino a 15 metri (49 piedi), arrivando fino a 800 metri (2.640 piedi) di lunghezza.Durante “l’Operazione Piombo fuso” i tunnel sono stati bersaglio dei raid aerei israeliani. Sembra che dei circa 3.000 tunnel sotterranei che erano operativi prima dell’offensiva israeliana, solo 150 potevano essere utilizzati alla fine del conflitto.

12 miliardi e 700 milioni di dollari per il  Welfare della guerra palestinese

Il welfare militare dei palestinesi garantito dagli aiuti internazionali dal 2007 al 2014 ammonta a 8 miliardi e 511 milioni di dollari ( vedi tabella 1)[1]. Le risorse sono state garantite per 3 miliardi di dollari dai paesi arabi; 3 miliardi e 348 milioni di dollari dall’Unione Europea e dai Paesi europei; 1 miliardo e 200 milioni di dollari sono stati garantiti dagli Stati Uniti attraverso i canali internazionali; 897 milioni da altri paesi donatori. Per l’assistenza bilaterale gli Stati Uniti dal 2008 al 2015 hanno stanziato 8 miliardi e 233 milioni di dollari. Complessivamente il contributo internazionale di supporto all’Autorità Palestinese è stato di oltre 12 miliardi e 700 milioni.

Sostegno a stipendi pubblici e pensioni

Dal 1994, l’Unione europea ha fornito assistenza per oltre 5,6 miliardi di euro[2] al popolo Palestinese. Dal 2008, il programma di maggior rilievo nel “Territorio Palestinese Occupato”  è costituito dal meccanismo di “Sostegno Finanziario Diretto Pegase” che ha erogato finanziamenti per circa 1 miliardo di euro dal 2008 al 2012. Il Sostegno Finanziario Diretto Pegase si propone di aiutare l’Autorità Palestinese a far fronte ai propri obblighi nei confronti dei dipendenti pubblici, dei pensionati e delle famiglie più vulnerabili, a mantenere servizi pubblici essenziali e a migliorare le finanze pubbliche.

Secondo l’Audit della Corte dei Conti Europea Il Sostegno Finanziario Diretto ha contribuito in maniera significativa a coprire la massa salariale dell’ Autorità Palestinese. Tuttavia a fronte di un aumento del numero dei beneficiari e di una diminuzione dei finanziamenti da parte degli altri donatori tramite il Sostegno Finanziario Diretto, l’Autorità Palestinese ha registrato nel 2012 gravi ritardi nel pagamento dei salari che sono stati all’origine di disordini tra la popolazione palestinese.

Sempre secondo l’Audit, il Sostegno Finanziario Diretto europeo ha contribuito ai servizi pubblici essenziali, ma è stato anche riscontrato… “ che a Gaza un numero considerevole di pubblici dipendenti veniva pagato senza recarsi al lavoro o senza fornire un servizio pubblico a causa della situazione politica a Gaza.

Nonostante i cospicui finanziamenti erogati attraverso il programma Sostegno Finanziario Diretto l’Autorità Palestinese ha comunque fatto registrare nel 2012 un grave disavanzo di bilancio. Secondo la Corte dei Conti i fondi europei sono stati costantemente erogati e hanno raggiunto i beneficiari ammissibili dal 2008 al 2012.

Il numero medio dei dipendenti pubblici  e pensionati, la cui retribuzione era in parte regolarmente pagata dai contributi per il Sostegno ai Pubblici Dipendenti e ai Pensionati è salito da 75.502 a 84.320. Tale cifra rappresenta circa la metà dei 170.000 dipendenti pubblici e pensionati dell’ AP. La spesa media mensile dell’AP per la retribuzioni dei beneficiari ammissibili al sostegno Pegase è salita da 45,1 milioni a 62,9 milioni di euro, con un incremento pari  a circa il 39%. La Corte registra inoltre che dopo  una rapida espansione tra il 2000 e il 2007, a partire dal 2008 l’AP a cercato di limitare la crescita dell’occupazione nel settore pubblico a 3.000 dipendenti l’anno.

Con la presa del potere da parte di Hamas a Gaza e il controllo sulla striscia, i governi occidentali mettono in mora i propri aiuti.  Hamas ha sostituito i dipendenti dell’AP con propri aprendo così la questione dei dipendenti pubblici della striscia di Gaza e del rifiuto della Nazioni occidentali di finanziare la struttura di Hamas attraverso la erogazione degli stipendi. Con il parziale prosciugamento del flusso degli aiuti le finanze dell’AP incontrano crescenti difficoltà  per pagare in tempo le retribuzioni e le pensioni. Da febbraio 2008 sino a giugno 2012, su 52 pagamenti mensili degli stipendi e pensioni dell’AP, 47 sono stati effettuati entro sette giorni dalla fine del mese del Pagamento. Tuttavia, per quel che riguarda tutti i pagamenti a libro paga dell’AP tra giugno e dicembre 2012, gli stipendi e le pensioni sono sti pagati con oltre 10 giorni di ritardo, e persino in tre rate, a causa della mancanza di fondi. Tali ritardi hanno provocato dimostrazioni e scioperi dei dipendenti pubblici a partire dal settembre 2012.[3]

Tabella 1:I Contenuti finanziari del welfare della guerra

Il Contributo internazionale di supporto all’Autorità Palestinese 2007 – 2014 ( in milioni di dollari)
 20072008200920102011201220132014Totale
Arabia Saudita127,7234241,1145,6179,7100260,380,51368,9
Emirati110134,21744342,585,5500639,2
Lega araba00,90000000,9
Oman005301005068
Algeria52,8632629,652,826,426,426,4303,4
Kuwait33,4800505050500313,4
Iraq1000002528,7063,7
Egitto014,617,87,953,20048,5
Qatar110,1009,70309100258,8
T. Lega araba444526461,7285,7340320,1429,4206,93.013,8
         0
Unione Europea Pegase493,1651,3425,5382,2238,6267,4257,375,82.791,2
Francia20,237,233,530,427,324,125,60198,3
Svezia2,900000002,9
Gran Bretagna657,249,17637,935,664,819345,6
Grecia002,62,800005,4
Cipro0000,100000,1
Finlandia03,60000003,6
Polonia00,50000000,5
Totale UE522,3749,7510,8492,4303,8327,1347,894,83.348,7
         0
USA4,7302,2275222,850034801.202,7
Altri41,1185,5100,7144,567,9178,9125,752,8897,1
 Totale Contributi1.061,201.763,401.348,201.145,40761,7826,11.250,90354,48.511,3

Fonte: U.S State Department[4]

Tabella 2:Assistenza Bilaterale USA

Assistenza bilaterale degli Stati Uniti ai Palestinesi dal 2008 al 2015 in milioni di dollari 
 20082009201020112012201320142015Totale
ESF389,5776,0400,4395,7395,7356,7272,0370,03.356,0
ESF-OCO10,098,0108,0
INCLE25,0184,0100,0150,0100,070,070,070,0769,0
Totale414,5960,0500,4545,7495,7437,2440,0440,04.233,0

Fonte: Dipartimento di Stato U.S. USAID

Sostegno a Famiglie vulnerabili:

Il programma di sostegno alle famiglie povere ha visto un contributo trimestrale medio pari a 9,7 milioni sino al 2011, 74% delle risorse erogate ai beneficiari ammissibili. Il numero medio dei beneficiari ammissibili è salito dai 44.035 del 2008 ai 59.915 del 2012, nonostante il congelamento del numero dei beneficiari di Gaza dall’ottobre 2012; oltre al sostegno europeo, l’AP  ha continuato a sostenere dai 30 ai 40.000 beneficiari non ammessi nei programmi di sostegno europeo. L’Unione Europea copre il 47% della spesa per indennità sociale, il 3% è coperto dalla banca mondiale, il restante 50% dovrebbe essere garantito dall’AP. Comunque la Corte ha rilevato che a Gaza un numero considerevole di dipendenti pubblici riceveva lo stipendio, pur non recandosi al lavoro. Dalle stime sui dati rilevati dai colloqui risulta che rispettivamente il 22 ed il 24% del personale occupato a Gaza presso i ministeri dalla Sanità e dell’Istruzione dell’AP non sta lavorando.

Le Forniture strumentali

Il Sostegno Finanziario Diretto ha anche fornito combustibile per la centrale elettrica di Gaza dal 2008 al 2010 con un contributo di 183,8 milioni di Euro, sui contributi sono stati versati anche 90 milioni di Iva e delle accise. Su questa questione “la Commissione non è stata neanche in grado di stabilire se AP abbia effettivamente usato gli importi rimborsati per i fini previsti, che consistevano nella fornitura di servizi pubblici essenziali.”

Hamas garante del Welfare della guerra

Uno dei temi ricorrenti Posti da Hamas anche nelle condizioni della tregua è il pagamento degli stipendi pubblici a Gaza. Il tema viene posto già a giugno l’agenzia Nena news riporta le dichiarazione di  “Azzam Al-Ahmad, che ha guidato i negoziati con Hamas. ha criticato gli apparati di sicurezza di Hamas che, ha detto, la scorsa settimana hanno bloccato l’accesso alle banche di Gaza per una settimana, per protestare contro il rifiuto del nuovo governo palestinese di  pagare gli stipendi di maggio ad oltre 40.000 dipendenti pubblici impiegati dal governo di Hamas negli ultimi sette anni. Il Qatar, sponsor regionale di Hamas, si è detto pronto a pagare gli stipendi ai dipendenti pubblici di Gaza. Una commissione congiunta Fatah-Hamas inoltre sta studiando un nuovo meccanismo di pagamento degli stipendi. Al Ahmad tuttavia ha polemizzato con l’ex premier islamico Ismail Haniyeh che, a suo dire, avrebbe chiesto aiuti al Qatar per appena cinque milione di dollari di fronte ad un bisogno di 200-300 milioni di dollari per realizzare l’unificazione dei sistemi amministrativi e di governo tra Cisgiordania e Gaza e garantire gli stipendi a tutti i dipendenti pubblici palestinesi.”[5]

Sul tema I negoziatori ritornano ancora l’8 settembre Hamdallah dichiara “la comunità internazionale ha minacciato di boicottare la dirigenza palestinese qualora dovesse pagare gli stipendi degli impiegati appartenenti all’ex governo Hamas”. Il primo ministro ha poi detto che rischierebbe se dovesse recarsi a Gaza senza aver risolto questo problema. “Quando ad Aprile fu firmato l’accordo di unità nazionale. Hamas aveva chiesto di pagare i suoi 45.000 impiegati. Di questi 27.000 sono civili mentre altri sono membri della milizia e delle forze di sicurezza del partito islamico”. A giugno il Qatar aveva dichiarato che avrebbe risolto la spinosa questione dei salari donando alle casse di Gaza 60 milioni di dollari. Sembra che Doha non abbia ancora mantenuto la promessa.

Il tema del pagamento degli stipendi pubblici dei funzionari di Hamas non è affrontato solo tra le varie componenti palestinesi in seno all’ANP, ma trasborda, come questione nodale sul tavolo dei negoziatori della tregua. Il governo egiziano fa sapere che i primi colloqui “indiretti” tra israeliani e palestinesi, per rendere definitiva la tregua a Gaza, sono fissati il 23 settembre al Cairo. Il governo palestinese di unità nazionale fondato sul patto Hamas-Fatah attraversa ancora momenti di tensione. Nell’immediato Hamas non lascia entrare a Gaza il personale dell’Autorità palestinese finché non si troverà il modo di ricominciare a pagare gli stipendi ai nostri dipendenti pubblici.

Il 25 settembre, un mese meno un giorno dalla fine della guerra, arriva il passo decisivo. Il teatro è ancora il Cairo. I delegati di Hamas e Fatah firmano un accordo che stabilisce la restituzione di Gaza al controllo dell’Autorità palestinese. I valichi di frontiera con Israele e con l’Egitto saranno dati in gestione a tremila poliziotti della Palestina unita, con la collaborazione dell’Onu; gli stipendi dei dipendenti pubblici di Gaza verranno pagati per il tramite di una organizzazione internazionale ancora da definire. Se l’accordo verrà rispettato sarà la conclusione della guerra civile palestinese, a sette anni dal suo inizio.


[1] Congressional research service: US Foreign aid to the Palestinians, 3, July, 2014

[2] Corte dei Conti Europea: Il sostegno finanziario diretto dell’Unione europea all’Autorità Palestinese. Relazione speciale, n. 14, 2013

[3] Corte dei Conti Europea: ibidem

[4] Congressional research service: U.S. Foreign aid to the Palestinians

[5] Nena news, Gaza, 11 giugno 2014

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